Esercizio di resistenza
L'inizio dell'anno ha riportato in discussione il futuro dell'approvvigionamento energetico dell'intera Europa, con la cessazione del transito del gas russo attraverso l'Ucraina.
Corina Cristea, 23.01.2025, 18:59
L’inizio dell’anno ha riportato in discussione il futuro dell’approvvigionamento energetico dell’intera Europa, con la cessazione del transito del gas russo attraverso l’Ucraina. Per Kiev, il motivo per cui ha deciso di non prorogare oltre il 31 dicembre 2024 l’accordo di transito è semplice: vuole lasciare Mosca senza una delle principali fonti di denaro con cui finanzia l’invasione dell’Ucraina. Fortemente dipendenti da questo gas, Slovacchia e Ungheria, i cui primi ministri hanno buoni rapporti con Mosca, hanno però criticato Kiev per questa posizione, sottolineando che la decisione di fermare il transito del gas russo attraverso l’Ucraina non è un semplice gesto politico, ma una misura estremamente costoso per l’intera UE. D’altro canto, il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj ha accusato il primo ministro slovacco di aprire un secondo fronte energetico contro l’Ucraina, per volere della Russia.
Completa il quadro la decisione della società russa Gazprom di interrompere, dal 1° gennaio, la fornitura di gas naturale alla regione separatista pro-russa Transnistria della Repubblica di Moldova. In queste condizioni, la centrale elettrica di Cuciurgan, situata sulla riva sinistra del Dniester, sotto il controllo dei separatisti russofili, non fornisce più elettricità ai distretti del resto della Repubblica di Moldova. La poca elettricità ancora prodotta viene ottenuta utilizzando il carbone, un tempo portato dal Donbass occupato dai russi. È l’unico tipo di carbone compatibile, le scorte bastano solo per un mese o due e non possono essere rifatte. Gravemente colpita dalla situazione, la Transnistria rifiuta però l’aiuto di Chisinau. Le autorità moldave, che hanno istituito lo stato di emergenza nel settore energetico, sono invece riuscite a garantire senza problemi la fornitura di elettricità e gas naturale ai consumatori sulla sponda destra del Dniester.
I dati pubblicati dal Governo mostrano che la metà del fabbisogno di elettricità è coperto dalle importazioni dalla Romania, che, fortunatamente, è il quarto paese più indipendente in termini di importazioni dalla Russia, dopo Svezia, Estonia e Islanda. A livello dell’UE, la guerra in Ucraina ha mostrato molto chiaramente il livello di dipendenza dalle importazioni di energia e ha costretto Bruxelles a trovare soluzioni per cambiare la situazione. Nel 2021 le importazioni europee dalla Russia rappresentavano il 62%, rileva un rapporto Eurostat, e attualmente queste percentuali sono diminuite sensibilmente, diminuzione supportata anche dai piani comunitari per l’energia verde. Di fronte alla più grande sfida energetica, l’Europa continua a imparare a liberarsi dalla dipendenza dalla Russia. Riuscirà a garantire la sua sicurezza energetica compromessa dalla guerra in Ucraina? Giornalista Radu Tudor, analista militare. “Sì, senza dubbio. Anche lo scorso inverno abbiamo ricevuto simili minacce da Mosca. Quelli di Gazprom hanno realizzato un video su come si congelerà l’Europa, su come moriranno gli europei congelati senza il gas russo, ed eccoci qui, e per di più abbiamo il 30-40% delle riserve di gas rimaste nei magazzini europei. E voglio citare il caso della Romania. Al momento possiamo superare l’inverno senza problemi. Di tanto in tanto ricorreremo ad alcune importazioni, ma questo non significa dipendenza, significa interconnessione. Se l’Europa imparerà anche adesso a liberarsi dalla sua dipendenza tossica dalla Russia, questo sarà per noi il miglior esercizio di resistenza e, non ultimo, un esempio anche per altri settori. Perché ci siamo abituati male, a dipendere dal mercato cinese, perché la manodopera è più economica e i profitti sono più alti, a dipendere dall’India, dalla Russia, ecc. Questa cosa, dal mio punto di vista, rappresenta per noi una grande vulnerabilità e dobbiamo imparare a capitalizzare le nostre risorse e, almeno in campo strategico, a smettere di lasciarci nelle mani degli altri, che ci sono anche ideologicamente avversari.”
La resilienza energetica dell’Europa è stata, per diversi anni, una priorità in tutti i progetti europei, ma la guerra in Ucraina ha determinato nuovi approcci, ha imposto adattamenti all’attuale contesto geopolitico. Dal punto di vista della resilienza in termini di elettricità, innanzitutto, in una situazione di guerra, i megaprogetti possono trasformarsi in megavulnerabilità e persino in un’arma che può essere usata contro il paese e la popolazione civile, attirano l’attenzione degli esperti. I piccoli reattori modulari possono essere utili in questo contesto? L’analista Radu Tudor. “È, dal mio punto di vista, un’idea salvifica. E il fatto che la Romania sia uno dei pochi stati membri della NATO, dei pochi stati in Europa che utilizzano questa tecnologia, è un ottimo esempio. La Romania, a fine anni ’70-inizio anni ’80, ha avviato un progetto sull’energia nucleare, sebbene fossimo uno stato comunista, uno stato del Patto di Varsavia, abbiamo avviato un progetto sull’energia nucleare con il Canada, membro NATO, con il coinvolgimento di alcuni ingegneri dall’Italia, paese membro della NATO, e abbiamo sviluppato l’impianto di Cernavodă. Come naturale e logica continuazione della decisione presa allora e del progetto nucleare romeno, sarebbe la tecnologia SMR, che, dal mio punto di vista, può rivelarsi salvifica per la resilienza dello stato romeno, per aiutare stati come la Repubblica di Moldova, che stanno attraversando momenti estremamente difficili e hanno bisogno dell’aiuto della Romania.”
L’accelerazione di questo progetto porterebbe la Romania alla totale indipendenza energetica e, soprattutto, secondo Radu Tudor, ci renderebbe un esportatore netto di energia in Europa.