A casa, in viaggio, per 4 anni girovaghi
Nei 4 anni da quando vivono in una roulotte, Elena Stancu e Cosmin Bumbuţ hanno parlato con detenuti, vittime della povertà estrema e della violenza, persone con disabilità. Ne è nato il libro A casa, in viaggio, per 4 anni girovaghi.
Corina Sabău, 10.01.2018, 19:44
È il
libro più bello, più impressionante e più spettacolare pubblicato in Romania
nel 2017. È un libro di giornalismo, un libro con i migliori servizi che Elena
e Cosmin abbiano realizzato in questi 4 anni.
Sono delle realtà dei tempi che viviamo, ma che
la maggior parte di noi non hanno avuto l’occasione di vedere.
Con la loro roulotte e accompagnati dalla loro cagnolina, sono riusciti a
fare delle cose che spero attirino l’attenzione anche di quelli al governo. Che
attirino la loro attenzione che ci sono anche delle persone sfortunate nel
Paese.
Sebbene
rischino di rattristarci, credo sia un dovere leggere questi servizi molto
attenti e ben selezionati.
Queste alcune delle opinioni dei lettori in occasione
del lancio del volume A casa, in viaggio, per 4 anni girovaghi, pubblicato dall’editrice romena Humanitas. Gli autori di questo
volume, la giornalista Elena Stancu e il fotografo Cosmin Bumbuţ, hanno
rinunciato al loro monolocale di Bucarest, ai loro posti di lavoro e ai
contratti che assicuravano loro un reddito sicuro, e da 4 anni vivono in una
roulotte. L’hanno fatto per presentare la Romania in immagini e parole, per
documentare i temi di cui scrivono senza che fossero limitati dal ritmo o dalla
politica di una redazione. Il primo progetto sul quale hanno lavorato come
giornalisti al 100% indipendenti – vincitore di una borsa di studio offerta dal
Centro Rosalynn Carter e dal Centro di Giornalismo Indipendente – è partito
dall’abitudine dei romeni di ricorrere alle punizioni corporali come metodo
educativo di correzione. Lo conferma anche uno studio dell’Organizzazione
Salvate i Bambini, che rileva che il 63% dei bambini in Romania sono vittime
della violenza domestica. Nel loro volume A casa in viaggio, per 4 anni
girovago, Elena Stancu e Cosmin Bumbuţ documentano due casi, due famiglie che
vivono in estrema povertà a Mironeasa (provincia di Iaşi), una località di 5000
abitanti, la cui maggioranza vivono degli assegni familiari dei propri 5, 6 o
10 figli e di sussidi sociali. Abbiamo appreso da loro che i due casi
documentati a Mironeasa, in cui i bambini sono educati con le punizioni
corporali non sono atipici.
Sono parte della banalità quotidiana di un
paesino della Moldavia. Si tratta di famiglie come tante altre, che potremmo
incontrare anche in Oltenia, in Tranislvania o altre regioni romene. Purtroppo
simili casi sono molto frequenti. Li abbiamo incontrati non solo a Mironeasa,
ma in tanti altri posti. Perchè la maggioranza dei romeni sono poveri, non
hanno accesso all’educazione, e neanche i loro figli riescono a uscire da questo
circolo della povertà. Quando ho documentato il caso della famiglia Cojocaru,
ho preso appunti poggiando il bloc-notes su una cassa di birra, perchè nella
loro casa non c’era un tavolo, e che una delle ragazzine, l’unica degli otto
figli a frequentare la scuola e alla quale è piaciuta la scuola, faceva i
compiti sul letto. E questi bambini che a loro volta diventeranno genitori non
lasceranno in eredità ai loro figli altro che la povertà che loro stessi hanno
ereditato. E queste famiglie non sono delle eccezioni, noi non siamo andati a
cercare le eccezioni in Romania, siamo andati a cercare proprio la Romania. E,
purtroppo, questa è la Romania. Solo che queste cose sono molto difficili da
capire dalla nostra bolla in cui viviamo a Bucarest, Cluj o Craiova, racconta
Elena Stancu.
Tre anni fa, quando ho iniziato questo materiale
sulla violenza sui bambini sono andato nelle zone povere, nei penitenziari, ma
ho documentato anche casi di violenza nelle famiglie di intellettuali. E ho
incontrato figli di intellettuali che hanno sofferto anche loro a causa delle
violenza. Quando sono giunto a Baia Mare ho incontrato un detenuto che
proveniva da una famiglia numerosa e che si ricordava delle violenze
inflittegli dal padre quando era piccolo. E uno dei casi estremi è stato quando
suo padre l’ha tenuto appeso da una mano dal balcone e gli ha detto io ti ho
fatto, io ti uccido!. La stessa storia l’ho sentita dalla figlia di un
architetto di Bucarest, racconta Cosmin
Bumbuţ.
Maria Ioniţă, una delle donne la cui storia l’ho
appresa dal materiale pubblicato da Elena e Cosmin anche sul sito www.teleleu.eu è deceduta nell’estate del
2017. Spesso picchiata dal marito davanti ai nove figli, portata alcune volte
dagli operatori sociali in ospedale, la sua fine era una prevedibile per
tutti, nel Paese in cui nessuno mette il naso dentro la famiglia altrui,
come scrive Elena Stancu.
Ho scritto su Facebook che anche le altre
donne del villaggio, vittime delle violenza domestica, vanno dagli operatori
sociali e confessano spaventate che temono che ciò che è successo a Maria
Ioniţă succederà anche a loro. L’ho scritto su Facebook e di recente ci ha
conttato qualcuno di un centro di accoglienza per le vittime della violenza
domestica interessato a collaborare con gli operatori sociali di quella zona.
L’Associazione OvidiuRo è giunta nella rispettiva comunità e ha messo a punto
un programma per i bambini dell’asilo nido, un nostro amico che ha letto il
materiale su Mironeasa e lavora in una multinazionale ha raccolto molti
giocattoli, penne e quaderni e li ha inviati a quei bambini. Ma non è la
soluzione ai problemi sociali. A livello nazionale non c’è un programma, una
strategia finalizzata alla soluzione di questi problemi sociali, racconta
Elena Stancu.
Nei 4 anni da quando
vivono in una roulotte, Elena Stancu e Cosmin Bumbuţ hanno parlato con
detenuti, vittime della povertà estrema e della violenza, persone con
disabilità, bambini con bisogni speciali, persone che non sanno scrivere, rrom
emarginati dalla società. Elena e Cosmin
sono i miei eroi, scrive lo scrittore romeno Mircea Cărtărescu. Elena e Cosmin sono
andati alla ricerca della vita vissuta e dell’uomo reale, che
ci si rivela non nel mondo standardizzato e addomesticato in cui viviamo noi, i
consumatori di cultura, bensi’ nell’estrema povertà, in case dissestate, nella
violenza incredibile, in comunità dimenticate da Dio, nei penitenziari e nei
ghetti. (traduzione di Adina Vasile)