Il lockdown visto dagli studenti di antropologia
Con una durata di oltre due anni - molto più lunga di quanto inizialmente previsto - la pandemia è diventata anche oggetto di studi e ricerche sociologiche e antropologiche.
Christine Leșcu, 10.02.2022, 09:34
Con una durata di oltre due anni – molto più lunga di quanto inizialmente previsto – la pandemia è diventata anche oggetto di studi e ricerche sociologiche e antropologiche. In Romania, i più recenti si sono conclusi con il volume dal titolo Ipostasi ed etnografie della quarantena in pandemia, pubblicato presso l’editrice Pro Universitaria e realizzato da studenti e docenti del master di antropologia presso la Scuola Nazionale di Studi Politici e Amministrativi (SNSPA). Il docente universitario Bogdan Iancu, uno dei coordinatori della ricerca, spiega le condizioni in cui è nata l’idea di questo studio.
Nel periodo in cui è scoppiata la pandemia e subito dopo l’istituzione dello stato di emergenza, noi abbiamo perso il prof. Vintilă Mihăilescu, che aveva lottato per due anni con una malattia inarrestabile. Ciò che ci ha ispirato è stato il fatto che, durante questo periodo di malattia, il professore ha scritto un volume di etnografia degli ospedali in cui era stato ricoverato, tentando di analizzare ciò che stava accadendo in quelle strutture. Siamo stati molto ispirati da questo volume edito da Polirom e, prendendo lo spunto da questo esempio, in un momento di crisi acuta abbiamo pensato che un periodo del genere necessitasse di essere analizzato in modo che quando si concluderà, potessimo capire meglio come stavano le cose, tanto più che l’oblio legato a tali eventi è abbastanza amplificato dopo la loro conclusione. E’ così abbiamo lanciato questo progetto. Abbiamo proposto l’idea agli studenti del master di antropologia e di studi visuali, e la maggior parte dei testi del volume rappresentano i risultati di una ricerca etnografica nelle condizioni che ormai tutti conoscono. Si tratta di interviste basate su interazioni mediate digitalmente, ma ci sono anche testi basati sull’etnografia realizzati con gruppi vulnerabili. La ricerca è stata svolta direttamente sul campo nelle condizioni del periodo di isolamento, spiega il prof. Bogdan Iancu.
A seguito delle indagini o dei colloqui con i soggetti della ricerca, sono emersi alcuni aspetti. Gli aspetti che hanno richiamato di più la nostra attenzione sono stati gli elementi critici della vita quotidiana e nelle testimonianze apparse sulla stampa in quel periodo. La differenza è che siamo entrati nei dettagli. Mi riferisco alle trasformazioni dello spazio domestico per accordare le interazioni dovute all’isolamento, alla gestione delle ansie perché, come ricordiamo, in quel periodo l’ansia ha raggiunto un livello critico nelle persone che erano vulnerabili prima dello scoppio della pandemia e che hanno avuto da soffrire a causa della limitazione della mobilità e così via, aggiunge Bogdan Iancu.
Alcune delle abitudini e degli atteggiamenti acquisiti durante lo stato di emergenza nella primavera del 2020 sono stati mantenuti fino ad oggi e denotano addirittura una trasformazione della mentalità collettiva. Sebbene sia troppo presto per conclusioni più ampie, tuttavia alcune osservazioni si possono fare, afferma Bogdan Iancu.
Penso che la cosa più importante da notare per l’ambiente domestico sia l’importanza dell’ufficio in mezzo alla casa. In questo momento, l’ufficio è diventato praticamente una stanza o uno spazio di lavoro della zona domestica con un’importanza molto maggiore. La casa tende a essere modificata per accogliere questo spazio e questo territorio tende, a sua volta, ad essere addomesticato attraverso le piante. Quello che vediamo è semplicemente un’esplosione di interesse per lo spazio domestico e, soprattutto, per portare le piante che sono una sorta di metafora dei giardini che non abbiamo potuto visitare o dei parchi dove non potevamo uscire in quel momento. Si tratta di abitudini che sembrano essere rimaste nella pratica quotidiana. Penso che quello che sia successo e continua ad accadere siano le piccole fughe di fine settimana nella natura. Vediamo che sempre più persone stanno rinunciando alla tradizione del city-break e preferiscono viaggiare in aree naturali che hanno esplorato negli ultimi due anni. Inoltre, sembra che alcuni degli effetti della pandemia sui gruppi vulnerabili si siano intensificati e sembrano essersi bloccati lì, conclude il prof. Bogdan Iancu.