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Ricordi sulle usanze di Pasqua nel primo dopoguerra

Del modo in cui veniva festeggiata la Pasqua nel primo dopoguerra, periodo di massima libertà e prosperità in Romania, molti si ricordano ancora dalle storie della precedente generazione.

Ricordi sulle usanze di Pasqua nel primo dopoguerra
Ricordi sulle usanze di Pasqua nel primo dopoguerra

, 22.04.2020, 19:00

La storia non ricorda solo i momenti
speciali, insoliti, in cui vengono celebrate le feste religiose. La storia è
attenta anche alla vita quotidiana ripetitiva, alle usanze, ai rituali e alle
percezioni. Del modo in cui veniva festeggiata la Pasqua nel primo dopoguerra,
periodo di massima libertà e prosperità in Romania, molti si ricordano ancora
dalle storie della precedente generazione. Le testimonianze custodite dal
Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Romena descrivono l’atmosfera pasquale del primo dopoguerra come tranquilla e patriarcale. Il
medico, professore, poeta, saggista e traduttore Constantin Dimoftache Zeletin
si ricorda che, quando era bambino, suo padre, il prete Nicolae Dimoftache del
comune Burdusaci, in provincia di Tecuci, nell’est della Romania, celebrava la
Pasqua con molta dedizione.




La Pasqua era una super festa per noi,
eravamo addirittura sopraffatti dall’emozione! Mio padre era una grande assenza
perchè, essendo correttissimo e il comune essendo grandissimo, con paesini
sparsi per decine di km sulle colline, oltre le foreste, andava di casa in
casa, nonostante la pioggia e il fango, parlava con ciascun abitante, e compiva
la sua missione segreta, e per quella gente era una specie di preparazione per
la Pasqua. Mio padre era una persona molto dedita alla sua missione di prete e
questa parte della sua attività impiegava molto tempo, cosicchè la sera
arrivava a casa sfinito, ci ha raccontato Constantin Dimoftache Zeletin.




I ruoli e compiti erano divisi in
prossimità della Pasqua, ma alla gente piaceva portare a termine altre attività insieme. Come
la preparazione dei panettoni, cui contribuivano tutti i membri della famiglia,
come si ricorda Constantin Dimoftache Zeletin.La preparazione del panettone era uno spettacolo, un vero
rituale. Mia madre preparava sempre i panettoni in un momento in cui mio padre
era libero, se si poteva dire che fosse libero. Preparava 20 kg di panettone.
Come moglie del prete accoglieva molta gente nel giorno di Pasqua. I suoi
panettoni erano fatti con molto burro casereccio, preparato con latte dalle
nostre mucche. Due grandi rituali erano sacrosanti e ci stupivano.
Innanzittutto la qualità dei panettoni, dovuta all’impastatura. Non qualsiasi
persona può fare l’impasto a mano per il panettone. Mio padre, che era robusto,
atletico, era la persona ideale per questo compito. Mia madre versava il burro
sciolto e preparavano insieme l’impasto. Ciò che mi ha fatto impressione per
quanto riguarda la preparazione dei panettoni era la concezione di mia madre,
secondo la quale i panettoni possono prendere freddo come una persona senza
vestiti nel bagno. Non si doveva aprire la porta della stanza in cui era
lasciato l’impasto, doveva stare al caldo, la temperatura doveva essere
costante, non si doveva levare l’asciugamano con cui era coperto, ha
raccontato Constantin Dimoftache Zeletin.




Secondo l’usanza, la festa di Pasqua
culminava coll’andare in chiesa. C. D. Zeletin viveva appieno le ore passate
nel luogo di culto. Nella notte di Risurrezione, quasi tutte le faccende erano
già pronte, mia madre era sfinita, tutti eravano molto molto stanchi. Andavano
a letto presto e ci svegliavamo intorno alle 23 e mezza, la chiesa era molto
vicina. Del resto, ci svegliavano anche le campane, che avevano un suono molto
particolare. Qualcuno, quando furono fatte le campane decenni addietro, diede
una grossa quantità di argento alla fabbrica di campane. Maggiore la quantità
d’argento, più forte il suono. Io associo il ricordo del risveglio con una
sensazione di freddo sacro. Da bambino avevo una timidezza, una paura
nell’entrare in chiesa. Nessuno mi guardava, tutti pensavano al Redentore, e
io, mio fratello meno, mi sentivo semplicemente perso, ha raccontato Constantin
Dimoftache Zeletin.




Erano i genitori di C. D. Zeletin,
assieme alla comunità, a creare l’atmosfera magica di Pasqua durante la sua
infanzia, per lui e gli altri bambini. Da quella atmosfera sparivano i mali del
mondo e restavano solo le speranze.Cercavo
mia madre con lo sguardo e la vedevo sedersi. Aveva la sua panca in chiesa che
la gente lasciava libera appunto per lei, la chiesa era strapiena, la panca era
vuota e c’era sempre li’ un fiore. Quando arrivava mia madre, una donna
prendeva il fiore e la invitava a sedersi. Era, innanzittutto, la moglie del
prete, poi era insegnante e anche la persona che si occupava del coro. Mia
madre era anche un’ottima musicista e in quel paesino aveva creato un coro a 4
voci. E cambiava le liturgie, la liturgia secondo Tchaikovsky, la liturgia
secondo Mandicevski, mia madre non cantava a caso, in modo ripetitivo oppure
imitando qualcuno. Ogni tanto mi pare di vederla dirigere il coro e voltare la
testa verso mio padre che era davanti all’iconostasi, ha concluso Constantin
Dimoftache Zeletin.




I ricordi d’infanzia sono i più
idilliaci e belli, nonostante la realtà degli adulti sia più complessa. E sono
tanto più belli se sono ricordi di un mondo passato delle feste, del
fantastico, della perfezione.

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