La vita quotidiana sul fronte antisovietico
In tempi di guerra, succedono cose simili a quelle che accadono in tempi di pace: si mescolano leroismo, il tragico, il comico e lassurdo.
Steliu Lambru, 31.03.2017, 14:43
In tempi di guerra, succedono cose simili a quelle che accadono in tempi di pace: si mescolano l’eroismo, il tragico, il comico e l’assurdo. Ma a differenza dei momenti di pace, nei periodi di guerra non viene osservata più alcuna regola, non funziona più la ragione. Sul fronte della seconda guerra mondiale nell’Unione Sovietica, i militari romeni si confrontarono con situazioni di vita e di morte, in cui, a volte, la vita era appesa ad un filo.
Vladimir Boantă era sottotenente sul fronte antisovietico nel 1942. In un’intervista rilasciata nel 1995 al Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Romena, ricorda la battaglia di Sadovoi, nella zona della città russa di Oriol: Vi devo dire che mi trovavo in un buco, accanto a colui che forniva la munizione al mitragliatore. Era un soldato di cognome Velicu, ora mi sfugge il nome. I russi sparavano in continuazione, posso dire che è stato il più aggressivo bombardamento che avevamo mai subito, sparavano con le mitragliatrici. Il soldato che forniva la munizione era curioso di vedere i russi avvicinarsi. E stava con le spalle appoggiate all’orlo del buco, guardando in avanti. Gli dissi: “Occhio! Non vedi come sparano?” Ad un certo momento sentii: “Ohi!” E quando mi voltai a guardarlo, una pallottola lo aveva colpito alla fronte, gli era uscita dalla nuca e il sangue gli sprizzava dalla fronte sui miei stivali. Ero disteso sulla pancia e fui coperto subito da una fiumana di sangue. L’altro soldavo, guardandolo rimase di stucco e poi cominciò a piangere. Per sollevargli il morale, gli dissi: “Zitto! Non piangere per nulla! Non ti rendi conto che imprudenza ha fatto?
Vladimir Boantă ha anche sentito vicende da incubo, in cui l’inumano era qualcosa di banale. L’uccisione dei prigionieri era solo una delle facce grottesche dell’inumano. Quando occupammo nuovamente Sadovoi, in una fontana furono scoperti moltissimi ufficiali romeni che giacevano morti. Erano stati incolonnati da un ufficiale che, a quanto pare, parlava il romeno, ma non era né romeno, né russo. Faceva parte della minoranza della Bessarabia Meridionale, forse era gagauzo. Disse ai romeni: “Ora per voi è arrivato il tempo di morire!”, mostrò la pistola e chiese solo questo: “Dove vuoi che ti spari?” E sparava poi a caso, dove gli capitava: in testa, al cuore. Arrivò poi di fronte ad un capitano dell’artiglieria che si era lasciato crescere i baffi, di nome Panaitescu, il quale gli chiese di sparargli al cuore. E il gagauzo disse: “No, a te, ti sparerò ai baffi!” Caduto pure lui, buttò tutti quanti nella fontana senza acqua. I nostri, quando arrivarono, cavarono dalla fontana tutti i compagni assassinati in quelle condizioni vigliacche da quel tizio, ufficiale nell’esercito sovietico. Immaginatevi che quello sparato ai baffi non era morto, era solo sotto shock. Era sopravvissuto. – spiega Vladimir Boantă.
Nella guerra, la sopravvivenza dipendeva spesso da un capriccio o da un brusco cambiamento dell’intera situazione in cui ci si trovava. Vladimir Boantă: Uno dei miei ex colleghi dell’Università, che si chiamava Mircea Ştefănescu, era caduto prigioniero e nelle stesse condizioni era stato incolonnato assieme agli altri ufficiali. Un ufficiale ubriaco, che non parlava però il romeno, faceva vedere loro la pistola e domandava: “Che cosa è questo?” Chi rispondeva “revolver”, veniva fucilato. Infatti, era solo un pretesto per prenderli in giro, perché alla fine ammazzava tutti. Lui mi raccontò di aver visto come era saltato l’occhio al compagno che gli stava accanto e al quale il russo gli aveva sparato in testa. Quando chiese anche a lui “cos’è questo?”, il mio compagno bestemmiò, disperato, pensando che comunque lo avrebbe ammazzato. E gli rispose: “E tu cosa diavolo tiene in mano se non sai neanche come si chiama?” Il russo, che era ubriaco, chiese al traduttore che cosa aveva detto e il traduttore gli spiego che gli aveva detto parolacce. Il russo, bestemmiò pure lui nella sua lingua e se ne andò barcollando, senza uccidere più nessuno.
Per 45 anni, la propaganda sovietica ha parlato esclusivamente della barbarie dei romeni che erano passati per le località sovietiche. In realtà, però, i rapporti dei romeni con gli abitanti della zona non hanno mai superato i limiti della guerra. Vladimir Boantă: Tutti erano impoveriti, i nostri non potevano desiderare qualcosa dei loro beni, anche perché nel nostro Paese il tenore di vita era comunque migliore, incomparabile. Come saccheggiare gente povera?! Anzi, quei poveracci speravano di ricevere aiuto dai nostri soldati, i quali dividevano il loro cibo con gli abitanti. Poi basti pensare che, nella maggior parte, i nostri soldati erano contadini, come pure quei sovietici. Tra di loro si era stabilito un avvicinamento normale, determinato dalla loro condizione sociale, dagli ambienti in cui vivevano e dalle abitudini che, in fin dei conti, accomunano tutti i contadini.
La guerra presuppone una vita quotidiana e un ritmo delle vicende più complicato di quanto possano svelare le fonti storiche. E’ un ambiente in cui, alla fine, tutti si adeguano, senza che diventi però una normalità. (tr. G.P.)