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Il pane nel comunismo

Oltre ad essere un genere alimentare banale, il pane è rimasto per la gente semplice, fino al crollo del regime, un simbolo della libertà

Il pane nel comunismo
Il pane nel comunismo

, 11.11.2016, 19:48

Uno dei più forti simboli della retorica comunista è stato il pane. Il regime comunista si è assunto il ruolo di difensore di chi pativa la fame, cioè degli oppressi, e proclamava la sua capacità di assicurare a tutti il necessario di cibo. Tuttavia, la razionalizzazione degli alimenti negli anni 1980 e, in via non ufficiale, anche del pane indicava, infatti, la crisi di visione politica della più umanista ideologia di tutti i tempi. Uno degli slogan favoriti del regime era “Né lavoro senza pane, né pane senza lavoro!”



Maxim Berghianu è stato il presidente del Comitato di Stato per la Pianificazione ed ha ricoperto vari incarichi nel governo. Intervistato nel 2002 dal Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Romena, Berghianu ha ricordato l’iniziativa di Nicolae Ceauşescu di diminuire il consumo di pane alla metà degli anni 1970: Non l’ho mai sentito raccontare di una cosa positiva che aveva visto e che voleva che applicassimo anche noi. Si ispirava sempre a delle cose imbecilli e meschine. Ad esempio, l’ultima volta che li ho visti, erano tornati da una visita in Francia. Non ricordo bene chi era allora presidente, Pompidou o Mitterand, forse Mitterand. Che cosa aveva notato? Che a un ricevimento era stato offerto un solo panino, piccolino, non come da noi, due-tre grandi, e che anche il cibo era scarso: un’insalata, un po’ di carne arrosto, non come da noi. Allora è arrivato alla conclusione che noi sprechiamo il cibo, che mangiamo troppo pane e che i contadini danno il pane che avanza all’uccellame e ai maiali. E’ subito dopo è venuto con l’idea che dobbiamo diminuire del 20% il consumo di pane. Era alla vigilia di Natale.”



Anche se a Berghianu non è sembrata una buona idea e non è stato sostenuto dai partecipanti alla seduta, lui ha cercato di determinare Ceauşescu a rinunciare all’idea. Lavoravo nell’industria alimentare quando è successo, non facevo più parte del Comitato esecutivo, non ero più ministro. Ero ministro segretario di stato, mi avevano retrocesso perché, dicevano che avevo speso soldi per far costruire una piscina pubblica. Non mi ha chiesto una statistica per vedere come si evolveva il consumo di pane. Fece venire Angelo Miculescu, vice primo-ministro e ministro dello Sviluppo, Ilie Verdeţ, che faceva le veci di Maurer come primo-ministro e Ana Mureşan del Ministero del Commercio. E disse loro “da domani abbassiamo il consumo di pane del 20%! Fate una bozza di decreto e portatemela per la firma”. Nessuno disse niente, tutti approvarono. Io dissi: “Compagno Ceauşescu, vorrei sollevare alcune questioni: il consumo di pane è diminuito da un anno all’altro, c’è persino un grafico, è calato dell’8-10%. Sono invece aumentati la produzione e il consumo di prodotti di panetteria. Ma, nell’insieme, il consumo di pane è in calo”. “Non è vero!” — rispose — “diminuiamo il consumo di pane!” “Compagno Ceauşescu” — insistetti io — “c’è anche un altro aspetto: il pane è l’unico prodotto per cui non si fa la fila!” Si arrabbiò ancora di più. “Non si fa la fila! Ci piace dire che assicuriamo 3000 calorie a ciascun abitante, di cui 1500 solo dal pane!” Se avessi avuto il sostegno di almeno una o due persone, l’avrei convinto. — ha aggiunto Maxim Berghianu.



La misura è stata accolta con ostilità dalla popolazione. Passarono meno di due settimane e sentimmo parlare di scioperi a Galaţi, gli operai andavano via dal lavoro per comprare del pane, perché quando uscivano non ce n’era più. A Ploieşti apparvero sui vagoni delle scritte “Vogliamo il pane”! “Non lavoriamo più senza pane”! C’erano grandi movimenti. Il 16 gennaio, Ceauşescu ci convocò di nuovo, ma non tutti, solo me e Angelo, e ci ordinò “Date tutto il pane che chiedono! Fate un progetto, prendiamo il grano dalle riserve dello stato e diamo alla popolazione tutto il pane che chiede”. Andammo poi da Verdeţ, facemmo venire anche Ana Mureşan. Io dissi a Miculescu, che aveva assistito anche alla prima riunione: “Ma non avevo detto io che non bisogna complicarci la vita? Perché dovevamo diminuire il consumo di pane?” Certo che fra una settimana mi hanno trasferito dall’industria alimentare. Ma non era solo questo. Su indicazione di Ceauşescu, si era diminuita la quantità di alcol nelle bevande, lo zucchero nei prodotti, l’olio nelle conserve e tutto ciò faceva andare a male i prodotti, perché avevano anche ruolo di conservazione. Io non ho voluto partecipate a tutto questo e l’ho anche detto. Una settimana dopo, è toccato al pane. Poi mi hanno trasferito dall’industria alimentare al Ministero del Lavoro, per non aver più a che fare con l’economia. Così sono andate le cose! Ciò che voglio dire è che Ceauşescu si ispirava alle cose più negative. Quando è tornato dalla Corea, gli è venuta l’idea di far costruire fabbriche di cibo. I romeni hanno una tradizione gastronomica ben radicata, dalle uova fritte, ai fagioli e agli involtini. Come poteva passare per la testa a qualcuno di cucinare per loro nelle fabbriche di cibo e portare loro da mangiare? Ceauşescu lo aveva visto però in Corea! — ha detto ancora Maxim Berghianu.



Oltre ad essere un genere alimentare banale, il pane è rimasto per la gente semplice, fino al crollo del regime, un simbolo della libertà, delle rivendicazioni che significavano, in fin dei conti, il diritto di ciascuno dei romeni di fare la vita che voleva. (tr. G.P.)


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