Donne condannate dal regime comunista romeno
Molti dei casi di donne rinchiuse nei carceri comunisti sono rimasti sconosciuti. Tuttavia molti dei casi di donne rinchiuse nei carceri comunisti sono rimasti sconosciuti.
Monica Chiorpec, 12.04.2016, 18:55
Alla resistenza anticomunista in Romania hanno partecipato con devozione e coraggio anche molte donne. Loro sostenevano i mariti, i fratelli o i padri implicati nelle azioni di resistenza, oppure trasmettevano messaggi al mondo occidentale libero. Tuttavia molti dei casi di donne rinchiuse nei carceri comunisti sono rimasti sconosciuti. L’Istituto per l’Investigazione dei Crimini del Comunismo e la Memoria dell’Esilio Romeno e l’Ambasciata di Gran Bretagna a Bucarest si sono prefissi di indagare e a portare alla luce le personalità femminili che hanno partecipato alla lotta contro un regime illegittimo, repressivo e criminale. Il confronto con altre fonti di memorialistica e lavori di specialità rende le schede penali delle detenute la prova più concludente della loro esperienza traumatizzante, terminata spesso con il loro decesso.
Constantin Vasilescu, ricercatore presso l’Istituto di Investigazione dei Crimini del Comunismo e la Memoria dell’Esilio Romeno, spiega l’importanza di questi documenti: La scheda penale è, infatti, una specie di diario di viaggio” che accompagnava ciascun detenuto politico nello spazio concentrazionario. Conteneva: nome e cognome del detenuto, la data esatta e il luogo di nascita, l’indirizzo di domicilio, il momento dell’arresto, la condanna, la pena, i penitenziari in cui è stato incarcerato e tante altre cose molto importanti per chi è interessato a fare indagini in merito. Siamo partiti da questi dati per fare un’analisi quantitativa valida, da una parte, ed avere uno sguardo d’insieme solido. I documenti possono anche avere certe mancanze, non sono infallibili, come d’altronde la maggior parte dei documenti redatti dalla Securitate (la polizia politica comunista) prima del 1989. Mi riferisco al fatto che una simile scheda penale potrebbe contenere anche dati contradditori, a volte persino erronei, a causa del fatto che le persone che le redigevano si esercitavano a farlo, essendo all’epoca dei tirocinanti della repressione. Questo era per loro il punto di partenza: redigere la scheda penale di un nemico del popolo”.
I rapporti redatti dall’Istituto per l’Investigazione dei Crimini del Comunismo e la Memoria dell’Esilio Romeno fanno riferimento all’origine sociale delle donne condannate. La maggior parte provenivano dall’ambiente rurale, una conseguenza normale della situazione nella società romena di quegli anni. La maggior parte delle detenute avevano studi elementari, poche erano le donne arrestate con studi liceali o universitari. 2860 detenute fra i 3802 casi indagati non avevano, al momento dell’arresto, alcuna affiliazione politica. Una piccola percentuale erano donne affiliate al movimento legionario, ai partiti storici o al gruppo etnico tedesco. La maggior parte di loro erano incarcerate in base a sentenze definitive, molte erano state arrestate al penitenziario di Jilava e, dopo la condanna, espletavano le proprie pene nei carceri di Mislea, Miercurea Ciuc, Bucureşti, Arad e Oradea.
Sui 76 mila detenuti menzionati nella base-dati dell’Istituto, 3802 sono donne. Il numero è più basso rispetto a quello degli uomini. Però dal nostro punto di vista non vuol dire che le donne siano state meno coraggiose rispetto agli uomini nel contestare il totalitarismo o che siano state meno disposte a fare sacrifici. Questo rapporto riflette in linea di massima le realtà sociali dell’epoca. Gli uomini dominavano quasi totalmente il processo decisionale e gli aspetti legati alla politica. Inoltre, questo numero non indica che le donne abbiano sofferto meno in quel periodo. Quasi per ciascun uomo imprigionato c’era una nonna, una madre, una sorella, un’amica o una moglie che aveva fatto di tutto per aiutarlo. Nel caso dei partigiani, che avevano lasciato le proprie case, le donne erano quelle che dovevano confrontarsi con le visite della polizia politica e subire le violenze arbitrarie. — ha detto Constantin Vasilescu.
A cominciare dal 1965, molti degli arresti per motivi politici furono camuffati sotto i cosiddetti reati di diritto comune o sotto ricoveri forzati in centri di sorveglianza e cura psichiatrica, questi essendo una delle forme più brutali di repressione comunista. I 3802 casi di donne incarcerate nelle prigioni comuniste si possono anche moltiplicare nel momento in cui la ricerca dell’Istituto per l’Investigazione dei Crimini del Comunismo e la Memoria dell’Esilio Romeno avanzerà.
Constantin Vasilescu ha parlato della necessità di un rapporto complesso: La finalità di questa azione sarà un volume, un dizionario dedicato alle donne dello spazio concentrazionario romeno, che speriamo sia pubblicato proprio quest’anno. Quest’album sarà preceduto da uno studio introduttivo molto consistente, che potrebbe essere considerato un libro nel libro, perché il lavoro di interpretazione e sintesi è almeno altrettanto importante. Lo studio introduttivo sarà strutturato in modo da coprire la delicata questione dello spazio concentrazionario femminile. Sarà spiegata dettagliatamente la metodologia, verranno presentati e analizzati in maniera scientifica aspetti e statistiche, sarà presentato e analizzato il quadro legislativo della repressione, i centri carcerari destinati alle donne, le pene, i percorsi individuali e altri dati del genere.
Molte delle schede penali di altre donne vittime della repressione comunista sono ancora smarrite nella sezione destinata ai detenuti di diritto comune di Jilava. (traduzione di Gabriela Petre)