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La politica balcanica della Romania dopo la seconda Guerra mondiale

Prima del 1940, la Romania puntò su una politica balcanica di cooperazione e creazione di alleanze. Dopo la guerra, fino alla metà degli anni 1950, la politica balcanica della Romania fu controllata dallURSS.

La politica balcanica della Romania dopo la seconda Guerra mondiale
La politica balcanica della Romania dopo la seconda Guerra mondiale

, 06.04.2015, 13:03

Prima del 1940, la Romania puntò su una politica balcanica di cooperazione e creazione di alleanze. Dopo la guerra, fino alla metà degli anni 1950, la politica balcanica della Romania fu controllata dall’URSS. Solo dopo la morte di Stalin nel 1953, la Romania cominciò di nuovo ad avere iniziative proprie nella regione e a tentare di superare le barriere imposte dalla divisione postbellica dei Balcani in blocchi militari e politici diversi. Mentre Romania, Jugoslavia, Bulgaria e Albania si trovavano sotto il controllo dei regimi comunisti, la Turchia e la Grecia facevano parte dello spazio della democrazia liberale.



Dopo il 1956 e l’intervento contro la rivoluzione anticomunista in Ungheria, per migliorare la sua immagine internazionale, l’Unione Sovietica lasciò ai Paesi che controllava una certa libertà di movimento. In Romania, i sovietici andarono oltre, e persino ritirarono le loro truppe nel 1958. I comunisti romeni sfruttarono questo rilassamento tentando un avvicinamento economico e culturale agli altri Paesi balcanici.



Valentin Lipatti fu ambasciatore, saggista e traduttore. Intervistato nel 1995 dal Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Romena, Lipatti ricordò l’iniziativa della denuclearizzazione dei Balcani.



“Dopo la guerra, la prima iniziativa romena più importante fu, come si sa, l’iniziativa lanciata dall’allora primo ministro, Chivu Stoica, del 1957, relativa alla denuclearizzazione dei Balcani. Era una iniziativa audace, importante, ma che certamente fu accolta con molta reticenza. Mentre Bulgaria e Jugoslavia erano favorevoli ad un processo di denuclearizzazione, di trasformazione dei Balcani in una zona priva di armi nucleari, Grecia e Turchia, che appartenevano all’alleanza NATO si opposero e l’iniziativa, per quanto bella, non ebbe grande successo”, spiega Valentin Lipatti.



Siccome la barriera tra il comunismo e la democrazia era apparentemente impossibile da superare, la cooperazione culturale era una soluzione.



“Parallelamente a questa iniziativa di tipo governativo, difficile, perché si riferiva al settore militare e la problematica militare è sempre la più complessa, nei Balcani si svolse una collaborazione molto importante in campo culturale, ma a livello non-governativo. Per anni la cooperazione multilaterale nei Balcani andò avanti a livello non-governativo, che era più facile da realizzare, senza tanti riserbi e ostacoli da affrontare. Così, ad esempio, l’Unione Medica Balcanica, risalente al periodo interbellico, l’Unione Balcanica dei Matematici, poi la recentemente creata — nel 1963 — Associazione Internazionale di Studi Sud-Est Europei, e molte altre organizzazioni e associazioni professionali mantennero questo clima di fiducia e cooperazione negli ambienti scientifici e in quelli professionali balcanici”, aggiunge Valentin Lipatti.



Il Comitato di Cooperazione Balcanica, presieduto da Mihail Ghelmegeanu, era inteso a coordinare le azioni culturali. Anch’esso ebbe però successi limitati. “Il Comitato di Cooperazione Balcanica presieduto da Mihail Ghelmegeanu era sempre uno non-governativo, per la pace. Andavano di moda allora le organizzazioni per la difesa della pace. C’era soprattutto l’idea sovietica di tenere conferenze mondiali per la pace, conferenze regionali a favore della pace, contro l’imperialismo e così. Nei Balcani fu fondato questo Comitato per la difesa della pace nei Balcani”, spiega ancora Valentin Lipatti.



Alla riunione di Atene del 1976, riunione governativa nel campo della cooperazione economica e tecnica, si fecero vedere i vizi della politica. “L’obiettivo che la Romania seguiva attentamente, come anche a Jugoslavia e la Turchia, e in qualche misura anche la Grecia, era quello di creare un quadro istituzionale, perché una conferenza per quanto fosse buona, se è unica non vale gran che, viene dimenticata. Qui incontrammo la ferma opposizione della Bulgaria. I nostri amici bulgari vennero con un mandato molto restrittivo e non accettarono di approvare nulla. Le decisioni venivano prese in base al consenso, per cui bastava che uno avesse diritto di veto e la decisione non poteva essere presa. La Bulgaria faceva la politica sovietica e allora Mosca non accettava volentieri una cooperazione economica nei Balcani, che, con il passare del tempo, avrebbe potuto sfuggire al suo controllo. Temeva il pericolo di un mini-mercato comune balcanico in cui, certamente, Romania e Bulgaria erano Paesi socialisti, ma Turchia, Grecia e Jugoslavia avrebbero potuto portare questa cooperazione su vie non desiderate dall’Unione Sovietica. Allora i bulgari ricevettero l’ordine di bloccare le conseguenze. Tale colpo bloccò per un lungo periodo, per qualche anno, il processo multilaterale”, conclude Valentin Lipatti. (traduzione di Gabriela Petre)

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