Testimonianze da Auschwitz
Per gli ebrei europei, il lager di Auschwitz-Birkenau significò la loro uccisione sistematica tramite un programma messo a punto dallideologia nazista.
Steliu Lambru, 02.02.2015, 16:27
Per gli ebrei europei, il lager di Auschwitz-Birkenau significò la loro uccisione sistematica tramite un programma messo a punto dall’ideologia nazista. Il numero delle persone uccise nella maggiore fabbrica della morte è difficile da stimare, le cifre menzionate dai vari autori spaziando fra 1 e 1,5 milioni di ebrei. Dalla Transilvania Settentrionale, le autorità ungheresi mandarono ad Auschwitz 150.000 ebrei a cominciare dalla primavera del 1944. 70 anni dopo la liberazione del lager, il 27 gennaio 1945, abbiamo selezionato dall’Archivio della Radiodiffusione Romena le testimonianze dei superstiti di quell’inferno.
Eva Berger di Cluj fu portata assieme a sua madre almeno in 10 campi di lavoro. Ad Auschwitz rimase solo per 3 giorni, sufficienti però per capire cosa succedeva lì. La registrazione è stata realizzata nel 1996. “Destra significava la vita e sinistra la morte! Io ero con mia madre e anche se assomigliavamo non ci prendemmo per la mano. Probabilmente non hanno notato che eravamo madre e figlia e ci hanno messe sulla parte destra. Non sapevamo cosa significava questo. Tutta la famiglia fu mandata a sinistra, c’erano zie, cugini, bambini piccoli. Chi aveva figli piccoli non poteva essere sfruttato per il lavoro e doveva essere in qualche modo eliminato. Notai che non si sentiva alcun uccello e lo dissi anche a mia madre. C’era una foresta, era a maggio-giugno e tuttavia non si sentiva alcun uccello. Poi mi resi conto che là c’erano le camere a gas e forse per questo, a causa del gas o del fumo portato dal vento, gli animali e gli uccelli non potevano viverci. Vidi poi anche mio padre, lo avevano messo a sinistra tra coloro che dovevano andare nella camera a gas. Ci dicevano sempre: andate tranquilli che poi vi incontrate tutti, gli anziani saranno separati e messi insieme ai bambini, per cui andrà tutto bene. Passammo da quella porta dove c’era scritto “Arbeit macht frei” e dissi a me stessa che andava tutto bene: Se lavoriamo, saremo liberi. Ci portarono in un capannone, ci tagliarono i cappelli e io non riconobbi più mia madre. Era accanto a me e la riconoscevo solo dalla voce, senza capelli sembrava un uomo. Ebbi la fortuna di restare solo tre giorni ad Auschwitz. Vuol dire che dopo tre giorni riuscimmo a sfugire alla miseria e alla fame che tutti pativano ad Auschwitz”, ricordava Eva Berger.
A maggio 1944, Mauriţiu Sabovici di Sighetu Marmaţiei fu portato nel ghetto di Vişeu in seguito all’occupazione hortista della Transilvania Settentrionale. Nel 1997, raccontava com’era arrivato ad Auschwitz. Da giovane fabbro qualificato lavorava in una fabbrica vicino al lager. “Un giorno nel lager cominciava così: ci si svegliava alle 5, una doccia veloce, dopo di che facevamo la fila e andavamo a mangiare: c’erano 100 grammi di pane, un te o un caffé nero con un po’ di margarina. Alle 6 dovevamo essere pronti a partire a piedi per Gleiwitz, la fabbrica era a circa 1-2 chilometri. Chi capitava ai lati, veniva picchiato, quelli in mezzo, no. E ognuno di noi cercava di stare in mezzo. Nella fabbrica ci picchiavano i civili. Le SS circondavano la fabbrica per impedirci di scappare e dentro c’erano i tedeschi comunisti che ci tenevano d’occhio, così tutti lavoravamo. C’erano anche ebrei polacchi che ci trattavano male, come i tedeschi. Non li interessava che eravamo pure noi ebrei come loro, ce l’avevano con noi perché eravamo arrivati solo nel ’44 non prima, nel ’39. Ci rimproveravano di essere venuti troppo tardi, quando il fronte stava per crollare. Anzicché aiutarci, ci facevano la vita difficile. E tutti lavoravamo, per non essere picchiati”, ricordava Mauriţiu Sabovici.
L’elettricista Otto Şarudi di Baia Mare raccontava nel 1997 fatti simili a quelli vissuti da altri superstiti. A giugno 1944, gli ebrei di Baia Mare furono ammassati nel ghetto per essere imbarcati in treni-merci con destinazione Auschwitz. “Da Auschwitz ci portarono alla fermata di Birkenau, dove c’era il lager di sterminio. A Birkenau stavamo in un lager di zingari e anche i comandanti erano zingari. C’era una porta piccola e ci spronavano con i bastoni a uscire in fretta. Immaginarsi 1000 persone in una stalla uscire in fretta. Vi restammo circa una settimana e nel frattempo arrivarono i tedeschi. Le SS chiesero chi aveva un mestiere, chi era muratore, falegname, meccanico elettricista. E ci presentammo. Ci assegnarono dei numeri. Il mio era 13034. Da lì ci portarono a 6 chilometri, nel lager Auschwitz. Ci divisero per mestieri. Di elettricisti ce n’erano 16 e ci portarono nell’officina per le prove. Sui 16 rimanemmo solo due. A me assegnarono il compito di controllare le recinzioni con filo spinato elettrificato”, raccontava Otto Şarudi. (traduzione di Gabriela Petre)