Comunismo versus comunismo: il conflitto romeno-jugoslavo
A marzo 1948, la risoluzione del Cominform condannava la Jugoslavia e Tito come traditori della causa comunista e agenti del regime capitalista.
Steliu Lambru, 08.07.2013, 18:17
A marzo 1948, la risoluzione del Cominform condannava la Jugoslavia e Tito come traditori della causa comunista e agenti del regime capitalista. In seguito al conflitto fra l’URSS e la Jugoslavia, l’intero blocco comunista fu costretto ad allinearsi alla politica di Mosca e a condannare l’atteggiamento di Tito, ritenuto capitalista. Nel conflitto sovietico-jugoslavo fu attirata anche la Romania e il confine tra i due Paesi diventò una vera e propria linea Maginot, con fortificazioni e sfide di guerra. In realtà, il conflitto romeno-jugoslavo era uno falso, inventato su basi ideologiche tra due partiti, due regimi e due leader comunisti che non erano per nulla fondamentalmente diversi l’uno dall’altro: ambo le parti erano altrettanto dogmatiche nell’ideologia e fedeli al sistema repressivo.
Nel 1998, il Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Romena ha intervistato Ion Şuta, il capo della sezione operazioni dell’esercito romeno, uno dei responsabili della costruzione del sistema fortificato al confine romeno-jugoslavo. Lui diceva che tutte le decisioni in tal senso erano state prese a Mosca ed applicate dai comunisti romeni, sotto l’attenta sorveglianza dei consiglieri sovietici:
“Mosca decise che per quanto riguardava i problemi militari con la Jugoslavia, una guerra era imminente. Di conseguenza, la Romania, che aveva un confine diretto con la Jugoslavia, diventò il Paese con il ruolo più importante, essendo in prima linea. Capimmo inoltre che il concetto militare generale era di difesa, non di offensiva contro Tito. Non si pose il problema di passare all’offensiva per rovesciare Tito dal governo con l’aiuto delle forze armate romene o in cooperazione con altre forze, sovietiche o di altri Paesi. Poco dopo il mio arrivo al comando, dovetti cominciare a elaborare dei piani di difesa al confine occidentale con Tito”, ha spiegato Ion Şuta.
L’aumento delle tensioni nella zona allarmò entrambe le parti. La seconda guerra mondiale si era appena conclusa e tutti pensavano che la guerra fosse l’ultima soluzione per risolvere le vertenze. La difesa dei confini era il primo passo.
“Con il generale Vasiliu e un gruppo di ufficiali della mia sezione operativa dei Comandamenti d’Armi della Regione Militare e del 38-esimo Corpo dell’Esercito di Timişoara svolgemmo missioni di osservazione sul confine per elaborare il piano di difesa del Paese. Alle missioni partecipò anche il consigliere militare sovietico, il generale Zakarenko, consigliere del comandante della regione. A volte ne partecipavano anche altri ufficiali sovietici di cui non ricordo le funzioni. Allo stato maggiore della regione c’era un altro consigliere, il generale Prohov, nella terza regione militare di Cluj. In occasione di queste missioni notammo il regime molto duro introdotto sul confine con la Jugoslavia nel 1950. Era stato messo del filo spinato per impedire il passaggio fraudolento delle persone sul confine e da una parte all’altra della frontiera. Questo severo regime di controllo doganale era completato da uno altrettanto duro della securitate. C’erano unità della polizia politica e della milizia a cavallo, che pattugliavano in tutta quella zona e anche a 30-40 chilometri dal confine.”, ha aggiunto Ion Şuta.
Lungo una linea di separazione che prima era una formalità e segnava il confine fra due paesi amici e democratici, ora si alzavano ombre di guerra. Non solo la Romania doveva fortificare il confine con la Jugoslavia, ma anche gli altri Paesi comunisti che confinavano con questo stato.
“In base al piano operativo di difesa del Paese al confine occidentale con la Jugoslavia preparammo poi il piano delle fortificazioni che includeva le truppe di difesa, fortificazioni di vario tipo (leggere o semplici) e trincee che fungevano sia da vie di comunicazione sia da trincee di combattimento vere e proprie. Ci dovevano stare mitragliatrici, cannoni e mortai. Le fortificazioni seguivano una linea continua da Curtici, al nord del Mureş, fino a Orşova e continuavano anche dalla parte jugoslava a Gura Timocului, facendo il collegamento con le fortificazioni che i bulgari dovevano realizzare sulle rive del Timoc in giù, verso la Grecia”, ha detto Ion Şuta.
Furono costruiti bunker in calcestruzzo armato. Ci si lavorava di notte, affinché i possibili nemici non lo notassero. Vi furono anche incidenti al confine con sparatorie tra i militari di entrambe le rive del Danubio. Però non fu mai superato un certo livello delle tensioni perché il tutto era solo una dimostrazione reciproca di forza e nessuno desiderava un’escalation della situazione. I rapporti romeno-jugoslavi migliorarono quasi subito dopo la morte di Stalin nel 1953, e le fortificazioni diventarono inutili.