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Di nuovo sulla marcia dei minatori del 13-15 giugno 1990

La Romania non riesce, neanche dopo tre decenni, a fare luce sul più cupo episodio della sua storia postcomunista. Lo scorso mese, il procuratore generale ad interim, Bogdan Licu, ha inoltrato una contestazione della decisione dell’Alta Corte di rimandare alla Procura il fascicolo sulla cosiddetta Marcia dei minatori del giugno 1990. In precedenza, l’Alta Corte di Cassazione e Giustizia aveva deciso di restituire il fascicolo per la rielaborazione della requisitoria, considerata illegale. Due anni fa, i procuratori militari avevano portato a compimento le ricerche nel caso della Marcia dei Minatori, rinviando a giudizio 14 persone, tra cui l’ex presidente Ion Iliescu, l’allora premier, Petre Roman, il suo vicepremier, Gelu Voican-Voiculescu, e l’allora direttore del SRI, Virgil Măgureanu.

Di nuovo sulla marcia dei minatori del 13-15 giugno 1990
Di nuovo sulla marcia dei minatori del 13-15 giugno 1990

, 14.06.2019, 14:25



Stando agli inquirenti, loro avrebbero organizzato e coordinato direttamente l’attacco contro i manifestanti di Piazza dell’Università, nel centro di Bucarest, che esprimevano pacificamente le loro opinioni politiche, in contraddizione con quella della maggioranza che formava allora il potere politico. Il 20 maggio 1990, a cinque mesi dal crollo della dittatura comunista di Nicolae Ceauşescu, il suo ex ministro degli anni 70, Ion Iliescu, percepito come leader della Rivoluzione, era stato praticamente plebiscitato, vincendo le prime elezioni presidenziali libere con circa l’85% dei voti. Il suo partito, un mix eterogeneo di rivoluzionari autentici e comunisti di seconda mano, si era aggiudicato due terzi dei seggi nel Parlamento.



La Piazza dell’Università, occupata già dal mese di aprile da studenti e proclamata “zona libera dal neocomunismo”, si era già svuotata, perché i protestatari avevano già accettato la dura sentenza delle urne. Laddove c’erano state decine di migliaia di persone esuberanti e non-violenti, ne erano rimaste solo poche, a fare lo sciopero della fame, come se fossero incapaci di continuare la loro vita fuori dalla Piazza. La Polizia li ha evacuati, nella notte del 13 giugno, con una forza fuori misura, che ha ricordato la repressione dei giorni della Rivoluzione. Neanche oggi è chiaro se coloro che, il giorno dopo, hanno reagito combattendo sulla strada contro la polizia e occupando le sedi del Ministero dell’Interno e della Televisione, avevano veramente a che fare con la Piazza.



Iliescu e i suoi collaboratori li hanno definiti “legionari” (l’estrema destra interbellica) e, sebbene l’esercito avesse già ristabilito l’ordine, hanno chiamato la popolazione a salvare “la democrazia in pericolo”. I minatori della Valle del Jiu hanno eseguito l’ordine. Si sono impossessati della Capitale solo per due giorni, il 14 e il 15 giugno, sostituendosi a qualsiasi autorità legale. Ma è bastato per lasciare indietro 1300 feriti, più di mille persone fermate abusivamente e almeno sei morti. A completare il quadro dell’invasione: l’Università profanata, le sedi dei partiti all’opposizione e dei giornali indipendenti devastate.



Cinque anni fa, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha emanato una decisione che imponeva alla Romania di continuare le indagini in questo fascicolo mentre l’ex procuratore generale, Laura Codruţa Koveşi, ammetteva che l’inchiesta sulla marcia dei minatori è stato “uno dei maggiori insuccessi in tutta la storia del Pubblico Ministero”.

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