Il fascicolo sulla Marcia dei Minatori del 1990, di nuovo alla Procura
Passati in secondo piano nel contesto del vertice europeo di Sibiu e della campagna per le europee del 26 maggio, gli sviluppi nel campo della giustizia non sono però meno spettacolari. Mercoledì, il procuratore generale ad interim, Bogdan Licu, ha inoltrato una contestazione alla decisione dell’Alta Corte di rinviare alla Procura il fascicolo relativo alla Marcia dei Minatori del giugno 1990. In precedenza, un giudice dell’Alta Corte di Cassazione e Giustizia aveva deciso di far tornare indietro il fascicolo, affinché fosse rielaborata la requisitoria, ritenuta da lui illegale. Due anni fa, i procuratori militari avevano portato a compimento le indagini nel caso della Marcia del Minatori, rinviando a giudizio 14 persone. Tra queste, i più importanti sono l’ex presidente Ion Iliescu, l’allora premier, Petre Roman, il vicepremier Gelu Voican-Voiculescu e il direttore del SRI dell’epoca, Virgil Măgureanu. Stando agli inquirenti, loro avrebbero organizzato e coordinato direttamente l’attacco contro i manifestanti di Piazza dell’Università, nel centro di Bucarest, i quali esprimevano in modo pacifico le proprie opinioni politiche, contrarie a quelle della maggioranza che formava il potere politico in quel periodo.
Il 20 maggio 1990, a cinque mesi dal crollo della dittatura di Nicolae Ceauşescu, il suo ex ministro degli anni 70, Ion Iliescu, percepito come il leader della Rivoluzione, era stato praticamente plebiscitato, vincendo le prime elezioni presidenziali libere con circa l’85% dei voti. Anche il suo partito, un mix eterogeneo di rivoluzionari veri e propri e comunisti di seconda mano, si era aggiudicato due terzi dei seggi nel Parlamento. La Piazza dell’Università, occupata già dal mese di aprile da studenti e dichiarata “zona libera dal neocomunismo”, si era svuotata perché i manifestanti avevano accettato la dura sentenza data dalle urne. Sul posto dove avevano protestato decine di migliaia di persone esuberanti e non-violente, erano rimaste poche persone che facevano lo sciopero della fame, come se fossero stati incapaci di continuare la propria vita fuori dalla Piazza. La loro evacuazione da parte della polizia, nella notte del 13 giugno, è stata fatta con una forza sproporzionata, che ha evocato la repressione dei giorni della Rivoluzione.
Non è chiaro neanche oggi se coloro che hanno reagito il giorno dopo, combattendo contro la polizia e occupando le sedi del Ministero dell’Interno e della Televisione, avessero realmente un legame come la Piazza. Iliescu e le persone a lui vicine li hanno definiti “legionari” e, sebbene l’esercito avesse già ristabilito l’ordine, hanno chiamato la popolazione a salvare “la democrazia in pericolo”. I minatori della Valle del Jiu hanno seguito le indicazioni. Si sono impossessati della capitale per due giorni, il 14 e il 15 giugno, sostituendosi a qualsiasi autorità legale. Hanno lasciato dietro di loro 1.300 feriti, più di mille arrestati abusivamente e almeno sei morti. L’Università profanata, le sedi dei partiti all’opposizione e dei giornali indipendenti devastate completavano il quadro dell’invasione.
Cinque anni fa, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha emanato una decisione che imponeva alla Romania di continuare le indagini in questo fascicolo, mentre l’ex procuratore generale, Laura Codruţa Kovesi, ammetteva che l’indagine sulla marcia dei minatori è stato “uno dei maggiori insuccessi di tutta la storia del Pubblico Ministero”.
Bogdan Matei, 09.05.2019, 13:16
Passati in secondo piano nel contesto del vertice europeo di Sibiu e della campagna per le europee del 26 maggio, gli sviluppi nel campo della giustizia non sono però meno spettacolari. Mercoledì, il procuratore generale ad interim, Bogdan Licu, ha inoltrato una contestazione alla decisione dell’Alta Corte di rinviare alla Procura il fascicolo relativo alla Marcia dei Minatori del giugno 1990. In precedenza, un giudice dell’Alta Corte di Cassazione e Giustizia aveva deciso di far tornare indietro il fascicolo, affinché fosse rielaborata la requisitoria, ritenuta da lui illegale. Due anni fa, i procuratori militari avevano portato a compimento le indagini nel caso della Marcia del Minatori, rinviando a giudizio 14 persone. Tra queste, i più importanti sono l’ex presidente Ion Iliescu, l’allora premier, Petre Roman, il vicepremier Gelu Voican-Voiculescu e il direttore del SRI dell’epoca, Virgil Măgureanu. Stando agli inquirenti, loro avrebbero organizzato e coordinato direttamente l’attacco contro i manifestanti di Piazza dell’Università, nel centro di Bucarest, i quali esprimevano in modo pacifico le proprie opinioni politiche, contrarie a quelle della maggioranza che formava il potere politico in quel periodo.
Il 20 maggio 1990, a cinque mesi dal crollo della dittatura di Nicolae Ceauşescu, il suo ex ministro degli anni 70, Ion Iliescu, percepito come il leader della Rivoluzione, era stato praticamente plebiscitato, vincendo le prime elezioni presidenziali libere con circa l’85% dei voti. Anche il suo partito, un mix eterogeneo di rivoluzionari veri e propri e comunisti di seconda mano, si era aggiudicato due terzi dei seggi nel Parlamento. La Piazza dell’Università, occupata già dal mese di aprile da studenti e dichiarata “zona libera dal neocomunismo”, si era svuotata perché i manifestanti avevano accettato la dura sentenza data dalle urne. Sul posto dove avevano protestato decine di migliaia di persone esuberanti e non-violente, erano rimaste poche persone che facevano lo sciopero della fame, come se fossero stati incapaci di continuare la propria vita fuori dalla Piazza. La loro evacuazione da parte della polizia, nella notte del 13 giugno, è stata fatta con una forza sproporzionata, che ha evocato la repressione dei giorni della Rivoluzione.
Non è chiaro neanche oggi se coloro che hanno reagito il giorno dopo, combattendo contro la polizia e occupando le sedi del Ministero dell’Interno e della Televisione, avessero realmente un legame come la Piazza. Iliescu e le persone a lui vicine li hanno definiti “legionari” e, sebbene l’esercito avesse già ristabilito l’ordine, hanno chiamato la popolazione a salvare “la democrazia in pericolo”. I minatori della Valle del Jiu hanno seguito le indicazioni. Si sono impossessati della capitale per due giorni, il 14 e il 15 giugno, sostituendosi a qualsiasi autorità legale. Hanno lasciato dietro di loro 1.300 feriti, più di mille arrestati abusivamente e almeno sei morti. L’Università profanata, le sedi dei partiti all’opposizione e dei giornali indipendenti devastate completavano il quadro dell’invasione.
Cinque anni fa, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha emanato una decisione che imponeva alla Romania di continuare le indagini in questo fascicolo, mentre l’ex procuratore generale, Laura Codruţa Kovesi, ammetteva che l’indagine sulla marcia dei minatori è stato “uno dei maggiori insuccessi di tutta la storia del Pubblico Ministero”.