La marcia dei minatori del 1990, in tribunale
Ci sono voluti quasi 28 anni che il noto fascicolo sulla Marcia dei Minatori del 13-15 giungo 1990, forse il più cupo episodio dell’epoca post-comunista della Romania, arrivasse in tribunale. Tra altri, i più importanti dignitari di allora, il presidente Ion Iliescu, il premier Petre Roman, il vicepremier Gelu Voican Voiculescu e il direttore del SRI, Virgil Măgureanu, sono accusati di crimini contro l’umanità. I procuratori militari sostengono che le autorità dello stato abbiano messo a punto un violento attacco contro i manifestanti che protestavano nella Piazza dell’Università di Bucarest esprimendo pacificamente le proprie opinioni politiche, diverse da quelle del potere di sinistra, legittimato dopo le elezioni del maggio 1990.
Florentin Căpitănescu, 20.02.2018, 11:59
Ci sono voluti quasi 28 anni che il noto fascicolo sulla Marcia dei Minatori del 13-15 giungo 1990, forse il più cupo episodio dell’epoca post-comunista della Romania, arrivasse in tribunale. Tra altri, i più importanti dignitari di allora, il presidente Ion Iliescu, il premier Petre Roman, il vicepremier Gelu Voican Voiculescu e il direttore del SRI, Virgil Măgureanu, sono accusati di crimini contro l’umanità. I procuratori militari sostengono che le autorità dello stato abbiano messo a punto un violento attacco contro i manifestanti che protestavano nella Piazza dell’Università di Bucarest esprimendo pacificamente le proprie opinioni politiche, diverse da quelle del potere di sinistra, legittimato dopo le elezioni del maggio 1990.
Dopo l’evacuazione brutale dei manifestanti, il 13 giugno, sono seguiti due giorni in cui l’ordine sociale è stato ristabilito con le botte dei minatori, arrivati nella Capitale perché — come affermava allora il presidente Iliescu — la democrazia sarebbe stata in pericolo. Accanto ai minatori — accusano i procuratori — sarebbero state coinvolte, in modo del tutto illegale, forze del Ministero dell’Interno, del Ministero della Difesa e del SRI, come pure altri operai di varie zone del Paese. E il bilancio è stato direttamente proporzionale all’ampiezza dell’intervento: quattro persone sono state fucilate, quasi 1.400 ferite e circa 1.250 sono state private dal diritto fondamentale alla libertà. Inoltre, l’Università è stata profanata e le sedi dei partiti dell’opposizione e dei giornali indipendenti sono stati distrutti. Come immagine del modo in cui le autorità hanno gestito allora gli avvenimenti, è eloquente il messaggio rivolto ai minatori dal presidente Iliescu, soddisfatto, il 15 giugno: “Vi ringrazio tutti, ancora una volta, per quello che avete dimostrato anche in questi giorni. Che siete una forza, con un’alta disciplina civica operaia, gente di fiducia, nel bene, ma soprattutto nel male”.
Per molti, la riapertura del fascicolo sulla Marcia dei Minatori, la scorsa estate, otto anni dopo che era stato archiviato, è, in gran parte, il risultato delle pressioni fatte sulla Romania dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Stando ai commentatori, la Marcia dei Minatori del giugno 1990 ha recato enormi danni alla Romania, dal punto di vista della percezione all’estero, perché non ha fatto che dissipare tutto il capitale di simpatia accumulato dopo la separazione violenta dal comunismo, a dicembre ’89. Le immagini, di una crudeltà inimmaginabile, delle aggressioni commesse dai minatori hanno fatto il giro del mondo. D’altra parte, la tergiversazione per troppo tempo del fascicolo sulla marcia dei Minatori, così come è successo anche con il grande caso sulla Rivoluzione del dicembre ’89, dimostra che la riconciliazione della Romania con il proprio passato è ancora lontana.