La riapertura del dossier sulla Rivoluzione del 1989
Anche se è passato un quarto di secolo dal crollo del regime comunista in Romania, le famiglie di coloro che hanno perso la vita in quei giorni caotici di dicembre non sanno ancora chi li ha uccisi. La rivoluzione anticomunista del 1989 ha lasciato ferite profonde nell’unico Paese dell’ex lager comunista in cui la libertà è stata pagata con il sangue dei manifestanti. Lo stato poliziesco, la politica economica, il duro regime di austerità imposto dal dittatore Ceauşescu sono soltanto alcuni dei motivi che hanno determinato i romeni a ribellarsi, a scendere in strada e a gridare “Giù il comunismo!”.
Leyla Cheamil, 14.06.2016, 18:09
Anche se è passato un quarto di secolo dal crollo del regime comunista in Romania, le famiglie di coloro che hanno perso la vita in quei giorni caotici di dicembre non sanno ancora chi li ha uccisi. La rivoluzione anticomunista del 1989 ha lasciato ferite profonde nell’unico Paese dell’ex lager comunista in cui la libertà è stata pagata con il sangue dei manifestanti. Lo stato poliziesco, la politica economica, il duro regime di austerità imposto dal dittatore Ceauşescu sono soltanto alcuni dei motivi che hanno determinato i romeni a ribellarsi, a scendere in strada e a gridare “Giù il comunismo!”.
Lo scorso ottobre, i procuratori della Procura Militare avevano deciso di classificare il dossier, dopo che l’indagine era andata avanti per anni senza successo. Secondo loro, gli avvenimenti del dicembre 1989 si sono conclusi con la morte di 709 persone; altre 1.855 persone sono state ferite con le armi da fuoco, 343 ferite in varie circostanze e 924 arrestate. I reati si sono prescritti o non sono previsti nella legge penale, trattandosi di persone uccise casualmente, hanno motivato allora la loro decisione gli inquirenti della Procura Generale.
La decisione ha destato il malcontento di molti romeni che hanno deciso di inoltrare una contestazione all’Alta Corte di Cassazione e Giustizia. D’altronde, proprio a causa dei ritardi registrati nella soluzione del dossier sulla Rivoluzione, la Romania è stata condannata dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo. Lunedì, i giudici dell’Alta Corte hanno confermato la decisione della Procura Generale di riapertura del Dossier sulla Rivoluzione del dicembre 1989.
Ad aprile, Bogdan Licu, procuratore generale ad interim, aveva disposto il riavvio dell’inchiesta penale, considerando che la soluzione di classificazione data dalla Procura Militare fosse ingiustificata e illegale. Egli ha dichiarato che i procuratori militari avevano classificato il dossier in base a ricerche incomplete, ignorando documenti fondamentali relativi agli avvenimenti del 1989, e che tale situazione ha portato ad un inquadramento giuridico sbagliato dei reati e, di conseguenza, alla mancata scoperta della verità e dei responsabili.
Bogdan Licu ha inoltre precisato che, dal modo in cui si è svolta l’indagine presso la Procura Militare, non risulta ci sia stata una preoccupazione per stabilire aspetti fondamentali relativi agli avvenimenti accaduti nel periodo 17 – 30 dicembre 1989.
Nella sua opinione, i procuratori militari non hanno fatto niente in vista della declassificazione dei documenti che sono stati alla base dell’elaborazione del rapporto della Commissione senatoriale relativo alle azioni svoltesi durante la Rivoluzione del dicembre 1989, nel contesto in cui la commissione ha effettuato migliaia di ascolti ed ha ottenuto documenti dai ministeri della Difesa e dell’Interno, ma anche dal Servizio Romeno di Informazioni. Parte dei verbali degli ascolti effettuati dalla commissione e brani dei documenti presentati dalle istituzioni dello stato sono stati pubblicati in molti libri apparsi negli ultimi 26 anni.