Migrazione: rapporto CE boccia giudizi Germania su romeni
Un rapporto che sarà pubblicato dalla Commissione europea boccia l’opinione delle autorità tedesche, secondo cui i migranti romeni e bulgari approfittassero degli aiuti sociali in Germania. Lo scrive la Deutsche Welle nella sua edizione online, precisando di aver avuto accesso allo studio.
România Internațional, 14.10.2013, 12:26
Il rapporto della CE contraddice il ministro dell’Interno tedesco, Hans-Peter Friedrich, il quale ammoniva la scorsa settimana che “un’ondata di migranti colpiti dalla povertà” di Romania e Bulgaria si sta incamminando verso la Germania, per ottenere accesso di fondi di protezione sociale.
Lo stesso documento rileva che l’economia tedesca beneficia del valore aggiunto portato dai migranti che non rappresentano più del 5% dei cittadini che ricevono aiuti sociali — la stessa percentuale come in Finlandia, Francia, Olanda o Svezia.
Le conclusioni del rapporto sono rafforzate dal commissario europeo per occupazione, affari sociali e integrazione, Laszlo Andor, il quale ha dichiarato che, in Germania, la stragrande maggioranza dei romeni e dei bulgari ha un posto di lavoro, paga le tasse e le assicurazioni, e spende i soldi in questo Paese.
D’altra parte, il Ministero dell’Interno tedesco si dichiara sorpreso dalle informazioni secondo cui la Germania fosse contraria all’ingresso della Romania a Schengen, e sottolinea che la Romania riunisce tutti i criteri tecnici e giuridici in tal senso, aggiungendo che un’eventuale decisione degli stati membri non va collegata alla questione dei rrom.
Il Ministero degli Esteri romeno ha sempre ribadito che l’ingresso del Paese nell’area di libera circolazione non va collegato al problema dei rrom che, comunque, è una questione europea.
Simili dibattiti che i riguardano i romeni e i bulgari, in vista della piena apertura del mercato del lavoro europeo dal 1 gennaio 2014, si svolgono anche in altri stati europei, tra cui la Gran Bretagna, dove sono discussi, da una parte, i vantaggi economici portati dai lavoratori dei due Paesi, e dall’altra, la cosiddetta pressione sui sistemi di istruzione, sanità e aiuti sociali.