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Sguardo sul 2014 nel mondo

Ucraina: crisi e nuova Guerra Fredda/Ue-Moldova-Ucraina: elezioni vinte da partiti pro europei/Europee 2014: confermata supremazia partiti democratici/Ue: cambiano vertici istituzioni europee/Nato: dossier scottanti sullagenda

Sguardo sul 2014 nel mondo
Sguardo sul 2014 nel mondo

, 29.12.2014, 14:52

Per molti analisti ed esponenti politici, il 2014 è stato l’anno dello scoppio di una nuova Guerra Fredda. Il crollo, a gennaio, del regime pro-russo di Kiev, in seguito ad una ribellione sanguinosa che ha allontanato dal potere il presidente Viktor Janukovyč, sostituito da un’amministrazione pro-occidentale, è stato seguito da duri colpi da parte della Russia. L’annessione, a marzo, della Penisola di Crimea è stata solo l’inizio. È seguito, lungo l’estate, il sostegno politico, militare e logistico alla ribellione secessionista pro-russa nell’est dell’Ucraina, costata la vita a oltre 4000 persone. Tra queste, ci sono state anche vittime collaterali, completamente innocenti — i 300 passeggeri, nella maggior parte olandesi, di un aereo civile, abbattuto, secondo tutte le informazioni a disposizione, dai tiri dei separatisti. Tutto ciò ha costretto la comunità internazionale a notare, con preoccupazione, il risveglio, durante il regime di Vladimir Putin, dell’appetito territoriale della Russia, in una maniera associata finora esclusivamente alle epoche zarista o stalinista. Gli USA, l’UE e i loro partner nel mondo libero, dal Canada fino all’Australia, hanno risposto con misure punitive, politiche ed economiche. Preoccupata a causa degli sviluppi in Ucraina, il maggiore, dal punto di vista territoriale e demografico, tra i suoi Paesi confinanti, la Romania, da avamposto orientale dell’UE e della NATO, ha chiesto agli alleati occidentali un aumento della presenza militare nella regione. La Romania si è sempre pronunciata, tramite la voce della Presidenza, del Governo e del Ministero degli Esteri, per il rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale dell’Ucraina, dalla quale è separata da centinaia di chilometri di frontiera comune e in cui vivono quasi mezzo milione di etnici romeni.



Sia in Ucraina, che in Moldova (a maggioranza romenofona), l’elettorato ha dimostrato di sostenere l’iter europeo di queste repubbliche ex-sovietiche, che hanno firmato accordi di associazione e libero scambio con Bruxelles. L’unico fattore decisivo nella democrazia, il voto smentisce la retorica russa sui presunti diritti di Mosca sulle sue ex colonie. A Kiev, nella carica di presidente è stato eletto il magnate pro-occidentale Petro Poroshenko, mentre nel Parlamento i nostalgici dell’Unione Sovietica o i sostenitori di Janukovyč sono diventati minoritari dopo le politiche. Inoltre, per la prima volta dopo la proclamazione dell’indipendenza, nel 1991, i comunisti non superano la soglia elettorale del 5% e non sono più rappresentati nella Rada. I filorussi – comunisti, socialisti o populisti — hanno perso le elezioni anche a Chişinău. Sin dal 2009 associati al governo, nella cosiddetta Alleanza per l’Integrazione Europea, i partiti Liberale-Democratico, Democratico e Liberale si sono aggiudicati nuovamente il 30 novembre, la maggioranza dei seggi nel Parlamento e avranno ancora il potere in Moldova. I loro leader sperano che il Paese riesca ad ottenere lo status di Paese candidato all’UE nel 2017 e di diventarne membro nel 2020. La Romania, da promotrice e sostenitrice costante dell’integrazione europea di Chişinău – per la comunione di lingua, storia, cultura e destino – è stata la prima a salutare la vittoria dei partiti pro-europei nello stato confinante.



Le europee dello scorso maggio hanno confermato la supremazia delle famiglie ideologiche democratiche del continente — popolari, socialisti, liberali –, che si sono aggiudicati circa due terzi dei seggi. Ma hanno anche destato ansia, a causa della risurrezione, in quasi tutti gli stati membri dell’Unione, della retorica discriminatoria e anti-migrazione. Dall’Ungheria alla Francia e dalla Grecia all’Olanda, i partiti considerati euroscettici, se non addirittura antieuropei, hanno inviato i propri rappresentanti nel Legislativo comunitario. La Romania non è rappresentata a Strasburgo e Bruxelles da nessun eurodeputato populista o xenofobo. I 32 seggi spettanti a Bucarest sono stati divisi tra partiti affiliati ai grandi partiti continentali e promotori dei valori europei — a sinistra, il partito socialdemocratico, il principale partito nella coalizione al governo, affiliato ai socialisti europei, e a destra il partito nazionale liberale, passato quest’anno dall’Alleanza dei Liberali e dei Democratici ai popolari, ma anche i partiti Democratico Liberale, il Movimento Popolare e l’Unione Democratica Magiari di Romania, già membri del PPE.



Sostenuto dai suoi colleghi socialisti e dai popolari europei, il tedesco Martin Schultz è stato rieletto per un mandato di due anni e mezzo nella carica di capo del legislativo comunitario. Secondo un’intesa tra i due partiti, nella seconda metà dell’attuale legislatura la direzione del Parlamento Europeo spetterà ad un rappresentante dei popolari. Le altre istituzioni europee hanno già cambiato direzione nell’autunno del 2014. Dopo 10 anni, in cui è stato realizzato il maggior allargamento verso est e sud nella storia dell’Unione, il portoghese Jose Manuel Barroso è stato sostituito dal lussemburghese Jean-Claude Juncker a capo della Commissione Europea. Al posto del belga Herman van Rompuy, il nuovo presidente del Consiglio Europeo è il polacco Donald Tusk, il primo est-europeo investito in una carica del genere. L’italiana Federica Mogherini ha assunto la carica di capo della diplomazia europea dalla britannica Catherine Ashton. La Romania è rappresentata nel nuovo esecutivo comunitario, dall’eurodeputata socialdemocratica Corina Creţu, commissario alla Politica Regionale. Dopo l’adesione all’UE nel 2007, la Romania ha ricoperto i portafogli del Multilinguismo tramite Leonard Orban e dell’Agricoltura, tramite Dacian Cioloş, entrambi tecnocrati non affiliati politicamente.



Anche l’Alleanza Nord–Atlantica ha cambiato quest’autunno il segretario generale. Il danese Anders Fogh Rasmussen è stato sostituito dall’ex premier norvegese Jens Stoltenberg. Con il mandato a capo della NATO, Stoltenberg eredita anche due dossier tra i più difficili. A est — i rapporti glaciali con la Russia e il rafforzamento delle misure di sicurezza per gli alleati al confine orientale, la Romania inclusa. A sud invece — l’instabilità del Medio Oriente, devastato dalla guerriglia jihadista alla quale i governi locali — inefficaci, deboli, corrotti — non riescono a far fronte. Dall’estate scorsa, ampi territori in Siria ed Iraq sono caduti sotto il controllo dell’organizzazione terroristica auto-intitolata lo Stato Islamico, talmente sanguinosa da essere ripudiata dalla stessa rete Al-Qaida.


(traduzione di Gabriela Petre)

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