Retrospettiva degli avvenimenti internazionali 2015
Il 2015 può essere descritto, in poche parole, come lanno in cui le azioni terroristiche hanno lasciato una forte impronta già dai primi giorni di gennaio
Corina Cristea, 26.12.2015, 07:00
Il 2015 può essere descritto, in poche parole, come l’anno in cui le azioni terroristiche hanno lasciato una forte impronta già dai primi giorni di gennaio con l’attentato a Parigi contro la pubblicazione satirica Charlie Hebdo, destando stupore e indignazione nella comunità internazionale. Definito un attacco senza precedenti contro la stampa e la democrazia, l’attentato ha lasciato 17 morti e 20 feriti, la maggior parte membri del corpo redazionale. Il piano di allerta nella regione parigina è stato alzato al più alto livello, e l’operazione antiterroristica ha portato all’uccisione da parte delle forze di sicurezza dei tre jihadisti coinvolti. “Non abbiamo paura!” — è stato il messaggio più forte della gigantesca marcia contro il terrorismo organizzata qualche giorno dopo e cui hanno partecipato circa due milioni di persone a Parigi, altre più di due milioni in città francesi delle provincia e centinaia di migliaia nel resto del continente. In questo modo, l’Europa si è mobilitata per riaffermare i suoi valori fondamentali, dal diritto alla vita a quello della libertà di espressione. Il messaggio di solidarietà con la Francia della Romania, filo-francese per tradizione, membro del movimento francofono e legata alla Francia tramite un partenariato privilegiato, è stato portato alla marcia dal presidente Klaus Iohannis, allora investito di recente, che era nella folla accanto a decine di capi di stato e di governo dell’intero mondo. Commentando gli avvenimenti tragici nella capitale francese, il direttore del Servizio Romeno di Informazioni, George Maior affermava in un’intervista che attentati terroristici si sarebbero verificati ancora in Europa. “I servizi segreti europei sono pronti per un nuovo livello del terrorismo, ma non esiste sicurezza assoluta”, dichiarava Maior, previsione confermata dieci mesi dopo. Nella notte fra il 13 e il 14 novembre, sempre a Parigi, 130 persone hanno perso la vita e oltre 350 sono rimaste ferite in una nuova ondata di attentati. Sono stati presi di mira la sala da concerti Bataclan, terrazze di bar e ristoranti e la zona intorno allo Stade de France, nella periferia settentrionale della capitale francese. In solo tre ore, un comando jihadista ha fatto entrare un Paese in una nuova era dal punto di vista della sicurezza, mentre lo shock provocato dagli avvenimenti a Parigi si sente ancora a livello mondiale. Gli attentati, in cui sono stati coinvolti anche giovani musulmani nati ed educati in Francia, sono stati rivendicati dallo Stato Islamico — gruppo terroristico che, secondo la tesoreria degli Stati Uniti, è diventato in qualche anno la più ricca struttura del genere nella storia: si occupa di contrabbando di oggetti di antiquariato, traffico di essere umani e chiede risarcimenti di centinaia di migliaia o milioni di dollari per la liberazione delle persone rapite. Riceve donazioni importanti da persone influenti del mondo arabo e si stima che ottenga circa 40 milioni di dollari al mese solo sul mercato nero dei prodotti petroliferi. Avvenuti sullo sfondo del maggiore flusso migratorio in Europa dopo la seconda Guerra Mondiale, gli attentati hanno influito sull’atteggiamento dei cittadini semplici, ma anche di alcuni dei decidenti europei, molti sospettando che tra i migranti siano infiltrati sostenitori dell’ISIS. Man mano che la guerra civile si è intensificata in Siria, dove il gruppo jihadista Stato Islamico ha conquistato ampi territori che ha unificato in un califfato” assieme agli altri che controlla in Iraq, l’ondata di rifugiati ha assunto le proporzioni di un esodo. Circa un milione di persone hanno lasciato quest’anno i loro Paesi d’origine, scappando dalle zone di conflitto o dalla povertà e dirigendosi soprattutto verso la Germania. Alcune voci hanno detto che l’ondata di migrazione verso i Paesi sviluppati dell’Europa è stata, in un certo modo, incoraggiata dalla decisione di certi leader europei di rilassare la politica di accoglienza di immigrati extracomunitari — stimando di risolvere in questo modo il problema del deficit di manodopera nei loro Paesi. E’ apparsa così una situazione che ha provocato vertenze tra i governi dell’Europa occidentale e alcuni dell’est, ma anche all’interno delle società degli stati UE. Invocando l’argomento della solidarietà” europea, malgrado le obiezioni espresse da alcuni Paesi dell’UE, è stata presa la decisione che, nei prossimi due anni, circa 160 mila migranti siano inviati nei Paesi comunitari tramite un meccanismo di quote obbligatorie. Si è inoltre deciso di creare i cosiddetti centri hotspot, in Grecia e Italia, in cui i migranti siano registrati e divisi tra immigrati economici — da rimpatriare nei loro Paesi — e rifugiati la cui domanda di asilo è giustificata dalla zona di conflitto dalla quale provengono e che possono essere redistribuiti. D’altra parte, nel tentativo di limitare il numero di profughi provenienti dall’Europa, dopo lunghi negoziati a fine novembre, l’UE ha firmato con la Turchia un accordo tramite cui quest’ultima ha promesso di prendere misure per fermare i migranti che transitano il suo territorio. Il blocco comunitario si è impegnato ad offrire ad Ankara un sostegno economico per un valore iniziale di 3 miliardi di euro destinato ai rifugiati che si trovano in Turchia, soprattutto siriani. L’UE ha inoltre accettato di sbloccare il processo di adesione della Turchia all’UE e quello di liberalizzare i visti per i cittadini turchi. Nel frattempo, gli USA e la Russia hanno intensificato le operazioni in Siria, lacerata da oltre quattro anni da una guerra civile, conclusasi con numerose vittime e in cui l’ISIS ha consolidato le proprie posizioni. (traduzione di Gabriela Petre)