Tendenze autonomiste in Europa
I risultati dei referendum organizzati, domenica, nel nord d’Italia, non lasciano spazio a molte interpretazioni ottimistiche. Inaugurate, l’anno scorso, con la consultazione popolare per la Brexit e aumentate, quest’autunno, dalla febbre secessionista catalana, le tendenze centrifughe macinano l’unità dell’Europa. Per rimanere nell’Unione Europea, gli scozzesi sembrano sempre più attratti dall’idea di separarsi da Londra. Nel Belgio, la maggioranza fiamminga è sempre mono attaccata ai francofoni di Vallonia e Bruxelles.
Bogdan Matei, 23.10.2017, 14:01
I risultati dei referendum organizzati, domenica, nel nord d’Italia, non lasciano spazio a molte interpretazioni ottimistiche. Inaugurate, l’anno scorso, con la consultazione popolare per la Brexit e aumentate, quest’autunno, dalla febbre secessionista catalana, le tendenze centrifughe macinano l’unità dell’Europa. Per rimanere nell’Unione Europea, gli scozzesi sembrano sempre più attratti dall’idea di separarsi da Londra. Nel Belgio, la maggioranza fiamminga è sempre mono attaccata ai francofoni di Vallonia e Bruxelles.
Sui 12 milioni di italiani chiamati alle urne, più del 60% sono venuti a votare nel Veneto e più del 32% in Lombardia, mentre oltre il 90% dei partecipanti al voto hanno optato per una maggiore autonomia delle due province. Il voto è solo consultivo e, come sottolinea la corrispondente di Radio Romania a Roma, si è svolto in conformità alla legge italiana. Il risultato dello scrutinio potrebbe portare a negoziati con l’esecutivo di Roma, in vista di migliori accordi finanziari.
Stando agli analisti, però, il nord della penisola non può tenersi più dei soldi che produce senza provocare problemi nelle regioni più povere del sud. Ma è proprio quello che desiderano gli iniziatori del referendum — il partito, considerato estremista, la Lega Nord, che da oltre due decenni accusa che i milanesi, i torinesi e i genovesi efficaci e ricchi si portano sulle spalle i napoletani e i siciliani poveri e pigri.
I sociologi definiscono questa frattura all’interno di alcune società, per altro omogenee dal punto di vista etnico, lo sciovinismo del benessere”. Raddoppiata dall’orgoglio di una certa identità, essa si manifesta anche in Catalogna, la più prospera, ma anche la più indebitata zona della Spagna. Più del 40% delle esportazioni di elettronici e macchine della regione provengono da Catalogna, che porta anche 12 sui 60 miliardi incassati ogni anno nel Paese dal turismo. D’altra parte, però, il suo debito pubblico, di 44 miliardi de euro, dovrebbe essere pagato se restasse senza la garanzia di Madrid. In più, notano gli analisti, una Catalogna ipoteticamente indipendente uscirebbe dall’eurozona, perché non ha nemmeno una banca centrale propria. E non farebbe parte neanche dell’Unione Europea e i suoi cittadini avrebbero bisogno di passaporto per andare a Madrid o Parigi.
A nome della Romania, il ministro degli Esteri, Teodor Meleşcanu ha ribadito il sostegno fermo alla sovranità e all’integrità territoriale della Spagna. Qualsiasi dichiarazione unilaterale di indipendenza, in qualsiasi forma fosse realizzata, è priva di fondamento giuridico e non può produrre alcun tipo di conseguenze giuridiche, ha sottolineato il capo della diplomazia di Bucarest. D’altronde, nessun Paese membro dell’UE intende riconoscere una Catalogna indipendente, e Bruxelles ha definito la questione catalana un aspetto di politica interna della Spagna. (tr. G.P.)