Lavoro: CE, nessun segnale su “invasione” romeni
La libera circolazione nello spazio comunitario e la liberalizzazione del mercato del lavoro sono due nozioni diverse. Se dal 2007, quando sono entrati a far parte dell’UE, i romeni hanno il diritto di viaggiare liberamente nello spazio comunitario, quando si trattava di trovare un posto di lavoro le cose diventavano più complicate.
Roxana Vasile, 07.01.2014, 13:58
Erano necessari permessi di soggiorno e di lavoro per poter lavorare solo in un numero limitato di settori. Intanto, però, alcuni Paesi, come l’Italia, hanno aperto completamente il mercato del lavoro, cosicchè, fino al 1 gennaio 2014, quando tutte le restrizioni andavano abolite, ai sensi del Trattato di adesione, erano rimasti solo 9 Paesi dell’UE a mantenerle.
Alcuni media e politici europei hanno temuto quello che hanno chiamato l’invasione dei romeni e dei bulgari nei loro Paese. Al momento, però, la realtà è completamente diversa. Dopo il 1 gennaio, la stampa e i cittadini britannici hanno scoperto che, nel primo giorno dell’anno, era stato un unico romeno a “invadere” la Gran Bretagna.
Intanto, la Commissione Europea ha annunciato di non aver ricevuto finora nessun segnale dai Paesi UE, soprattutto da quelli più preoccupati, come la Gran Bretagna o la Germania, su una cosiddetta “invasione”.
Jonathan Todd, portavoce del commissario per gli affari sociali, ha spiegato che, fino all’abolizione totale delle moratorie, molti romeni si erano già stabiliti in altri stati membri. Quindi, è possibile che la maggioranza dei romeni che hanno voluto andare a lavorare all’estero l’avessero già fatto finora.
Comunque, la CE ammette che la piena apertura del mercato del lavoro potrebbe generare alcuni problemi a livello localo, per quanto riguarda i posti nelle scuole, i servizi sanitari o l’infrastruttura, però l’esercizio finanziario 2014 — 2020 prevede fondi in tal senso.
“La Commissione Europea può concedere sostegno attraverso il Fondo sociale europeo, che ha un valore di 10 miliardi di euro. Nell’attuale esercizio finanziario, gli stati membri devono impiegare almeno il 20% dei soldi stanziati da questo fondo per l’inclusione sociale, quindi per risolvere simili situazioni”, ha spiegato Jonathan Todd.
L’analista economico Constantin Rudnitchi spiega che i problemi possono sorgere anche quando i migranti beneficiano illegalmente di assistenza sociale o sanitaria. I costi sarebbero, però, inferiori rispetto ai benefici dei Paesi di destinazione.
“A lungo termine, è chiaro che la manodopera giunta dall’estero, che versa anche contributi sociali, aiuta il rispettivo Paese e la sua popolazione a ricevere le pensioni fra 10 o 20 anni, ad avere un sistema sanitario che continuerà a consolidare e, ovviamente, mantenere un certo tenore di vita”, spiega l’analista.
La Commissione Europea continua a sottolineare il fatto che la libera circolazione delle persone e del lavoro è un principio fondamentale, e che il periodo massimo per le restrizioni è stato limitato dai trattati a strettamente sette anni dall’ingresso, cioè fino al 1 gennaio 2014.