Barack Obama, discorso di commiato
Bogdan Matei, 11.01.2017, 16:49
Considerato per otto anni il più forte uomo del
mondo, Barack Obama ha tenuto, la notte scorsa, il suo discorso di commiato da
presidente americano in carica. I commentatori notano lo scenario
spettacolare. Riuniti nel centro della città di Chicago, dove sono nati i
suoi figli e dalla quale Obama è partito per la Casa Bianca, 20 mila persone
hanno ascoltato l’allocuzione di un presidente affiancato dalla moglie e dalle
sue due figlie e che non si è vergognato a piangere. Da sempre leitmotiv della
sua retorica, gli americani comuni, attori determinanti del cambiamento e
garanti della democrazia, sono stati nuovamente elogiati dal presidente.
Secondo un sondaggio reso pubblico prima del
discorso, il 55% di loro approvano le azioni di Obama quale capo dello stato e
solo il 39% si dichiarano delusi dei suoi due mandati.
Il presidente stesso sostiene che
L’America è un luogo migliore, più forte rispetto a 8 anni fa. Egli
ha chiesto però ai suoi compatriotti di difendere la democrazia americana, che
considera minacciata dalle disuguaglianze economiche, dalle divisioni razziali
e dall’isolamento di certi settori della società. Ignorare questi problemi
sarebbe un tradimento, in ugual misura nei confronti delle prossime generazioni
e dei fondatori dell’America – ha ammonito Obama.
Per quanto riguarda l’eredità di Obama in piano
esterno, gli analisti sono piuttosto divisi. Tutti salutano l’eliminazione da
parte di un comando americano del leader Al-Qaida, Ossama Bin Laden, il
mantenimento dei legami solidi con gli alleati in Europa e l’apertura degli
Stati Uniti verso la zona Asia-Pacifico.
D’altra parte, però, sempre loro segnalano che
durante la presidenza di Obama è stato per la prima volta dopo la Guerra Fredda
che una Russia vendicativa ha osato annettersi un territorio straniero – la
penisola ucraina Crimea. In più, le illusioni dell’intero Occidente, Washington
inclusa, sulla vocazione democratica della cosiddetta primavera araba hanno,
infatti, trasformato il Medio Oriente e il nord Africa in un inferno.
In Libia o nello Yemen, in Iraq o in Tunisia, al
posto dei regimi abusivi e corrotti, ma laici e relativamente stabili, è
apparso un caos in cui sono proliferate le bande jihadiste e in cui milioni di
persone cercano di scappare forzando le frontiere terrestre e marittime
dell’Europa. E, dicono i commentatori, Obama si è distaccato da Israele, il più
costante alleato regionale dell’America e l’unica democrazia funzionale nella
zona.
Il primo presidente americano di colore lascia,
quindi, al suo successore alla Casa Bianca, il controverso magnate Donald
Trump, una serie di dossier scottanti. Già reso vulnerabile dagli scandali
nella campagna elettorale e dopo la sua elezione, Trump sarà insediato
ufficialmente il 20 gennaio, in un momento in cui, secondo i sondaggi, solo un
terzo degli americani sembrano approvare le sue azioni. (traduzione di Gabriela Petre)