Fascicolo Marcia minatori su Bucarest, nuovamente nel mirino della giustizia
La cosiddetta Marcia dei minatori su Bucarest, avvenuta a giugno 1990, è tornata sul tavolo dei procuratori romeni.
Bogdan Matei, 26.04.2024, 11:03
Dopo più di tre decenni, la Romania non riesce a fare chiarezza sull’episodio più oscuro della sua storia post-comunista. I procuratori hanno aperto ieri nuove udienze nel fasciolo della cosiddetta Marcia dei minatori avvenuta nel 1990, quando le manifestazioni contro il regime di sinistra, instaurato dopo la Rivoluzione anticomunista, furono violentemente represse dalle forze dell’ordine, con l’aiuto dei minatori chiamati dalla Valle del Jiu (sud-ovest). Gli investigatori hanno già informato l’allora primo ministro Petre Roman, l’ex vicepremier Gelu Voican Voiculescu, l’ex direttore del Servizio Romeno di Informazioni, Virgil Măgureanu, l’ex consigliere ministeriale Adrian Sârbu e altre persone del regime dell’epoca che sono sospetti, con l’accusa di reati contro l’umanità.
Secondo la Procura militare, nel giugno 1990, i quattro hanno lanciato una politica di repressione contro la popolazione civile di Bucarest, a seguito della quale sono state uccise quattro persone, due violentate, l’integrità fisica e/o mentale di oltre 1.300 persone è stata danneggiata e più di 1.200 persone sono state illegalmente private della libertà. La Procura precisa che i fatti e l’inquadramento giuridico dei fatti si basano esclusivamente sulle prove trattate dopo il 4 giugno 2021, data in cui il caso è stato restituito alla Procura e tutte le prove precedentemente trattate sono state annullate.
Il 20 maggio 1990, cinque mesi dopo la caduta della dittatura comunista di Nicolae Ceauşescu, Ion Iliescu, suo ex ministro negli anni ’70, percepito come il leader della Rivoluzione, aveva vinto le prime elezioni presidenziali libere con circa l’85% dei voti. Il suo partito, una combinazione eterogenea di rivoluzionari autentici e comunisti di second’ordine, aveva ottenuto, a sua volta, due terzi dei seggi del Parlamento. La Piazza dell’Università, occupata dagli studenti da aprile e proclamata “zona libera dal neocomunismo”, si era già svuotata, perché i manifestanti avevano accettato il verdetto delle urne. Vi erano rimaste solo poche decine di scioperanti della fame, che sembravano incapaci di continuare la loro vita fuori dalla piazza.
La loro evacuazione da parte della Polizia, la notte del 13 giugno, è stata effettuata con una forza sproporzionata, che ha evocato la repressione dei giorni della Rivoluzione. Ancora oggi non è chiaro se coloro che, il giorno dopo, hanno reagito combattendo per le strade con la polizia e occupando la sede del Ministero degli Interni e della Televisione Pubblica, avessero avuto davvero qualche legame con la Piazza. Iliescu e i suoi li qualificarono come “legionari” (estrema destra tra le due guerre mondiali) e, sebbene l’esercito avesse già ristabilito l’ordine, hanno chiamato la popolazione a salvare “la democrazia in pericolo”.
I minatori della Valle del Jiu hanno risposto alla loro chiamata. Per soli due giorni, il 14 e 15 giugno, hanno preso le redini della Capitale, sostituendosi ad ogni autorità legale. Abbastanza da lasciare indietro migliaia di persone traumatizzate. L’università profanata, le sedi dei partiti di opposizione e dei giornali indipendenti devastati completano il quadro dell’invasione dei minatori, che macchiò l’immagine di un paese che aveva appena ritrovato il suo prestigio internazionale dopo la Rivoluzione.