Atlante della Cultura
Recentemente, l'Istituto Nazionale per la Ricerca e la Formazione Culturale ha iniziato a pubblicare un ampio lavoro intitolato Atlante della Cultura.
Christine Leșcu, 02.03.2022, 17:47
Recentemente, l’Istituto Nazionale per la Ricerca e la Formazione Culturale ha iniziato a pubblicare un ampio lavoro intitolato Atlante della Cultura. Dedicato alle case della cultura delle aree rurali, il primo volume documenta in modo esaustivo passato e presente di questi insediamenti, offrendo anche degli spunti per il loro futuro. I dettagli sono forniti dalla direttrice generale Carmen Croitoru.
Si tratta di un programma di mappatura culturale che abbiamo avviato nel 2014, quando abbiamo riorganizzato l’Istituto Nazionale per la Ricerca e la Formazione Culturale. In quel momento, c’erano pochissime statistiche e studi o ricerche approfondite per l’area culturale. A parte le attività culturali visibili e pubbliche, gli altri aspetti erano un po’ fraintesi o inspiegati, motivo per cui abbiamo generato questo studio che è iniziato con l’atlante delle case della cultura rurali. Ci siamo detti che le cellule più importanti dell’infrastruttura culturale nell’ambiente in cui vive il 47% degli abitanti della Romania, rappresentano un primo passo di contatto con le attività culturali e l’educazione culturale. Certo, abbiamo trovato una situazione inaspettata perché i numeri ovviamente non corrispondono alla realtà e abbiamo scoperto che su 7100 istituzioni culturali indicate dalle statistiche nel 1990, solo 125 sono rimaste attive, il che è preoccupante. Le altre svolgono un’attività saltuaria o fanno parte di una dinamica molto pericolosa di sagre o festività. In ogni caso, non stanno più facendo bene il loro lavoro, spiega Carmen Croitoru.
Sebbene oggi si ritenga che le case della cultura del paese siano state fondate durante il periodo comunista per fini strettamente propagandistici, tuttavia hanno una lunga storia. Molti di questi insediamenti si svilupparono nel periodo tra le due guerre, sotto la guida delle Fondazioni Culturali Reali, l’istituzione pubblica incaricata a sostenere la cultura e le politiche culturali dell’epoca. Il loro ruolo era più complesso all’epoca, includendo anche una certa azione di civiltà e di educazione del villaggio ritenuto arretrato per certi versi. La loro storia pre-comunista e comunista è presentata nel capitolo firmato da Andrei Răzvan Voinea. Carmen Croitoru parla anche degli altri capitoli.
Gli altri capitoli sono molto più pragmatici e concreti in riferimento alla spesa destinata dalle autorità alla cultura. È un capitolo che analizza le infrastrutture fisiche, le strutture e lo stato di conservazione degli edifici di questi centri culturali. C’è anche un capitolo importante delle risorse umane. E, ovviamente, anche un capitolo in cui raccontiamo un po’ che tipo di attività culturali si svolgono in questi luoghi. Abbiamo anche un ricco materiale documentario fotografico realizzato da Bogdan Pălici e Alina Savu, ricercatori molto dedicati e che, per due stagioni estive, hanno girato per i villaggi della Romania per fotografare molte case. Ovviamente non potevamo includere nel volume l’intero archivio fotografico, ma per noi è stata un’ottima occasione per fare una ricerca socio-culturale come ai tempi del sociologo Dimitrie Gusti, nel periodo compreso tra le due guerre, spiega ancora la nostra ospite.
Dopo aver presentato tutti i dati, l’Istituto Nazionale per la Ricerca e la Formazione Culturale li mette a disposizione dei responsabili della formulazione e dell’attuazione delle politiche culturali, aggiunge Carmen Croitoru. Il primo è il Ministero della Cultura, che si è prefisso anche di modificare la legge sugli stabilimenti culturali che includono anche queste case della cultura. Ma ci rivolgiamo anche all’ente locale perché, a seguito del decentramento, la responsabilità finanziaria e anche politica di queste cose spetta alle autorità locali. Forniamo dati e premesse sufficienti, statistiche e argomentazioni per coloro che hanno il potere di fare e generare politiche culturali. Chiunque sia interessato, anche a livello politico, può recuperare questo materiale in cui si ritrovano anche le nostre proposte. Una delle proposte è quella di suscitare l’interesse dei giovani che hanno conseguito un titolo di studio vocazionale a fare dei tirocini in questi centri culturali. Tutti rimangono in città dopo essersi laureati in belle arti, pensando di trovare un lavoro presso un’istituzione pubblica, ma nessuno vuole andare a fare almeno un anno o due di pratica culturale nelle zone rurali dove sarebbe davvero bisogno. Tutti accorrono in città e tutti lamentano che non ci sono abbastanza posti di lavoro per assumere giovani o fare stage. Probabilmente in campagna una soluzione c’è, conclude Carmen Croitoru.
Il secondo volume dell’Atlante della cultura è già in preparazione e sarà dedicato alle biblioteche pubbliche, che a loro volta sono vettori di educazione civica e culturale trascurati proprio come le case della cultura rurali.