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Ritratto di un boia

Le carceri comuniste sono state lambiente in cui sono apparsi i boia, come un esempio in più di tutto ciò che ha significato il regime comunista in Romania nel periodo compreso fra il 1945 e il 1989.

Ritratto di un boia
Ritratto di un boia

, 03.03.2017, 18:31

Le carceri comuniste sono state l’ambiente in cui sono apparsi i boia, come un esempio in più di tutto ciò che ha significato il regime comunista in Romania nel periodo compreso fra il 1945 e il 1989. Il boia era il detenuto che torturava i propri colleghi per rieducarli nello spirito dell’ideologia comunista, ma non solo lui. Per estensione, il boia è diventato anche la semplice guardia, o l’inquirente, o persino il direttore del carcere o del campo di lavoro. La procedura era simile al lavaggio del cervello, però andava spesso oltre la depersonalizzazione, fino alla creazione di false realtà sociali. Nel comunismo, era conosciuto come “l’esperimento Piteşti”, denominazione che ricordava la città in cui si trovava il carcere.



I romeni hanno visto anche in faccia simili persone. Apparentemente, erano persone qualsiasi, avevano persino famiglie, vita sociale, opinioni e convinzioni. Nomi come Alexandru Nicolski, Alexandru Drăghici, Gheorghe Crăciun, Alexandru Vişinescu, Ion Ficior, accanto ad altri, meno conosciuti, formano un pannello del terrore, della vergogna e della degradazione alla quale può arrivare l’essere umano.



Il professore Sorin Bottez è stato membro della gioventù liberale e ha passato 15 anni nelle carceri comuniste. In un’intervista rilasciata nel 2001 al Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Romena, Sorin Bottez cercava di ricordarsi quegli anni con tranquillità e distacco, per quanto gli fosse possibile: Nonostante io sia uno dei pochi superstiti che non sono crollati durante la rieducazione o che non hanno rinunciato all’onore e ai principi, tuttavia, sapendo quanto sia stato orripilante quel periodo, esito a condannare gli altri, tranne quelli che hanno fatto ciò che hanno fatto senza essere torturati e seviziati, ma semplicemente per infamia e vigliaccheria. Io condanno questi ultimi e li vorrei vedere messi alla gogna. Ma ciò non succederà mai. Bisogna fare una distinzione chiara tra quelli che sono crollati durante il processo di rieducazione, cioè sono stati maltrattati oltre la possibilità di resistenza del cervello, perché era una questione di cervello, non di muscoli e tendini. C’è chi è crollato nel momento in cui il cervello non ha più resistito, e c’è chi ha fatto tutte quelle scelleratezze perché qualcuno gli aveva promesso mari e monti.


Orrore, questa è la sensazione destata dai racconti di coloro che hanno avuto a che fare con il boia, il sadico esponente del regime concentrazionario comunista. Il professore Sorin Bottez: Ho sempre paura di raccontare cose che superano di molto i limiti della credibilità. Temo sempre che la gente pensi che io esageri o mi inventi delle cose. Perché l’esperienza che ho attraversato include non solo i miei supplizi, ma anche quelli di altri, cui ho assistito. E’ assolutamente inimmaginabile, inimmaginabile! Le bastonate della polizia politica, la Securitate, erano un gioco di bambini, perché duravano mezz’ora, tre quarti d’ora, e ne seguivano 24 ore di libertà, in cui potevi riprenderti. Voglio dire libertà nella propria cella nel carcere, non vorrei che qualcuno capisse un’altra cosa. Invece nel periodo della rieducazione, le botte erano senza alcuna interruzione. Fra Piteşti e Gherla c’è una differenza fondamentale. In quei pochi mesi di esperienza, i grandi infami, i grandi torturatori, i grandi scellerati hanno imparato a seviziare, a non colpire e a non distruggere gli organi vitali. Cioè a non uccidere subito, con due colpi, perché così il detenuto sarebbe caduto e sarebbe morto. Questo era, infatti, il nostro unico desiderio, quello di sfuggire alle torture attraverso la morte, altra speranza non c’era. Non ci lasciavano un momento di tregua in quei giorni, settimane, mesi di tortura, la breve pausa era solo affinché non morissimo. E dopo riprendevano tutto da capo. Se ti bastonavano troppo sulla mano destra, cominciavano con la sinistra, la destra te la lasciavano finché cominciava a riprendersi. Erano diventati esperti, forse più esperti dei torturatori del Medioevo. E lo facevano con tanta gioia, con tanta superiorità! Quando vedevano persone a pezzi, inginocchiate, urlare e chiedere pietà, questi infami, questi scellerati si sentivano talmente “grandi”, che mi chiedo come mai siano nati avendo l’aspetto di esseri umani.



Sorin Bottez ha anche una spiegazione per la sua sopravvivenza in quelle condizioni: Nella mia mente si era infitta la parola “no”, ma ugualmente avrebbe potuto infiggersi la parola “sì”. Dio non ha voluto che io crollassi, non ho nessun’altra spiegazione! D’altronde, io sono entrato nel processo di rieducazione come scettico, per non dire non credente, e ne sono uscito profondamente credente. Solo perché ho la certezza che una forza che io non posso né determinare, né definire, mi ha aiutato a non diventare una canaglia, a non diventare una bestia e a rimanere così come sono sempre stato. Ricordo che, una volta, in una prima tappa di rieducazione, mi hanno picchiato sulla palma della mano finché dalla pelle mi è uscita una plasma, non so cosa poteva essere. Una parte della mano si era gonfiata ed era diventata nera mentre dalla parte opposta, c’era una specie di liquido. Poi c’erano le bastonate in testa. Mi meraviglia che non sia diventato completamente imbecille. Ma sono stato abbastanza imbecillizzato da pensare, per 10 anni, che le cose avessero potuto migliorare. Mi hanno picchiato molto alla testa. I torturatori cambiavano quando cominciavano a sentire dolore alla mano con cui picchiavano e tutto ricominciava da capo: bastonate in testa, l’una dopo l’altra!



Il ritratto del boia è quello di un uomo apparentemente normale. Però il suo ritratto psicologico ci svela le dimensioni del male al quale si arriva quando si riuniscono le condizioni più nefaste. (tr. G.P.)

Foto: pixabay.com
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