L’industria di armamento nella Romania comunista
Le armi sono sempre state fonte di incassi per i produttori perché ci sono sempre state persone che hanno sentito il bisogno di fare guerre.
Steliu Lambru, 05.10.2015, 17:33
Le armi sono sempre state fonte di incassi per i produttori perché ci sono sempre state persone che hanno sentito il bisogno di fare guerre. Lo stato ha protetto e incoraggiato la produzione di armi, per ragioni legate alla sicurezza nazionale, ma anche per ottenere denaro. Le guerre hanno significato opportunità d’affari e progresso tecnologico. Anche se è una realtà cinica e orrenda, la guerra contribuisce allo sviluppo dell’economia degli stati e all’uscita da crisi, come è stato pure il caso della seconda guerra mondiale.
Alla fine della seconda guerra mondiale, la Romania era considerata un Paese sconfitto. Perciò le furono imposte restrizioni sul numero di militari che poteva avere e sull’armamento che produceva. Ma il governo comunista di Bucarest non poteva rinunciare completamente alla fabbricazione di armi e munizioni perché i gruppi di partigiani nelle montagne erano un sfida permanente alla quale era costretto a rispondere. L’industria romena di armamento alla fine della guerra e negli anni 1950 produceva armi individuali tipo pistole, carabine e lanciarazzi. Dal punto di vista militare, la Romania si era affiancata al Trattato di Varsavia, alleanza fondata nel 1955 su iniziativa del leader sovietico Nikita Khrushchev, di cui facevano parte Albania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Repubblica Democratica Tedesca, Polonia, Ungheria e URSS.
All’inizio degli anni 1960, la politica di allontanamento della Romania dall’Unione Sovietica portò all’elaborazione di una strategia per un’industria nazionale della difesa. Anche se parte dell’alleanza militare del Trattato di Varsavia, la Romania avvertì la necessità di sviluppare un’industria propria di armamento. Intervistato nel 2002 dal Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Romena, Maxim Berghianu, presidente del Comitato di Stato per la Pianificazione, CSP, ha spiegato i motivi che avevano portato all’idea di sviluppare l’industria nazionale di armamento.
L’industria della difesa si sviluppò fortemente per due motivi: prima di tutto affinché gli amici del COMECON (Consiglio di mutua assistenza economica) non ci sfruttassero a piacimento, cioè per non dipendere solamente dai russi. In secondo luogo, per l’export, che era il più valoroso e meglio pagato. Non abbiamo esportato carri armati, ma trasportatori-anfibio, autoblindi, armi individuali, mitragliatrici AKG, lanciagranate. Si produceva molta munizione per i cannoni e anche cannoni. Noi abbiamo avuto il cannone da 150 millimetri, che arrivava fino a 40-50 chilometri. Abbiamo fabbricato anche cariche esplosive, trinitrotoluene, ricordava Maxim Berghianu.
La maggior parte delle dotazioni dell’esercito romeno e della tecnica militare erano importate, soprattutto dall’URSS. Dopo l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968, la Romania ha accelerato il processo di sviluppo dell’industria nazionale di armamento, sia a livello di ricerca-progettazione, che a livello di esecuzione. L’Istituto per la Ricerca e la Progettazione Armamento, Munizioni e Apparecchiatura Ottica si occupava di equipaggiamenti terrestri, mentre un’istituzione connessa si occupava dell’aviazione. La Romania cominciava a produrre armamento pesante: carri armati, autoblindi, obici, cannoni, aerei, lanciarazzi, mitragliatrici e armamento leggero più performante come le pistole-mitragliatrici o i fucili con mirino. Si producevano anche veicoli militari.
Maxim Berghianu ha sottolineato che l’intero progetto sull’industria di armamento era stato un’iniziativa del nuovo leader Nicolae Ceauşescu, subentrato a Gheorghe Gheorghiu Dej. I piani venivano da Ceauşescu, di solito, erano prima analizzati dal punto di vista strategico, con specialisti militari, e poi venivano da noi. Così come c’era un’industria metalmeccanica, c’era anche una della difesa. Era vicepresidente un ufficiale di aviazione di nome Ceandru. Loro esaminavano assieme agli specialisti le proposte, ma l’opzione definitiva spettava al comandante supremo che dirigeva tutto. Noi, del Comitato di Stato per la Pianificazione, dovevamo dire se è possibile, se è efficace, che capacità produttive erano necessarie e dove andavano costruite, aggiungeva Maxim Berghianu.
L’aviazione fu considerata una delle priorità dell’industria nazionale di armamento, soprattutto perché la Romania aveva avuto una tradizione in questo campo nel periodo interbellico, alla quale era stata costretta dall’URSS a rinunciare. Abbiamo fatto rinascere la storia dell’aviazione. A Bacău venne costruito un centro molto grande, a Bucarest si fabbricavano i motori e un’altra fabbrica fu costruita a Craiova. Ceauşescu aveva colto l’idea dell’aviazione e voleva che anche la Romania costruisse aerei. Chi produce aerei ha un’industria moderna, dato che l’aviazione presuppone anche materiali, apparecchiatura per la misura e il controllo molto complessa. Parallelamente, si sviluppò anche l’industria elettronica, elettrotecnica, che doveva produrre l’apparecchiatura di alta tensione. Furono gettate le basi della Electroputere, una fabbrica moderna che produceva apparecchiatura di alta tensione. Sviluppammo l’apprecchiatura a bassa tensione a Bucarest, presso le fabbriche Electroaparataj e Electromagnetica. Poi dovemmo sviluppare anche l’industria elettronica e ottica, spiegava ancora Maxim Berghianu. (traduzione di Gabriela Petre)