Le relazioni romeno-americane dopo il 1945
Dopo il 1945, la Romania e gli Stati Uniti si ritrovarono, senza volerlo, da un lato e dall'altro della Cortina di ferro.
Steliu Lambru, 27.02.2018, 14:08
Dopo il 1945, la Romania e gli Stati Uniti si ritrovarono, senza volerlo, da un lato e dall’altro della Cortina di ferro. L’andamento della guerra le aveva collocate in schieramenti opposti, anche se il sostegno degli USA alla fine della prima Guerra Mondiale, con i principi del presidente Wilson, era stato decisivo per la Grande Unità dei romeni. A causa dell’ideologia comunista, la Romania e gli USA furono avversari, anche se i due Paesi non avevano mai avuto alcuna vertenza storica.
L’istituzione dei due blocchi militari opposti – la NATO e il Patto di Varsavia – ha reso ancora più tesi i rapporti bilaterali, soprattutto negli anni 1950, il periodo dello stalinismo in espansione nei Paesi dell’Europa centro-orientale. Però le autorità di Bucarest e Washington migliorarono le relazioni dopo il 1953, che portò un cambiamento nella politica di Mosca dopo la morte di Stalin.
Il diplomatico Anton Moisescu fu nominato l’ambasciatore di Romania negli Stati Uniti nel 1954. In un’intervista rilasciata nel 1995 al Centro di Storia Orale di Radio Romania, Anton Moisescu ricordava i timidi tentativi di riavvicinamento tra i due Paesi.
Quando fui accreditato come ministro plenipotenziario negli Stati Uniti, l’atmosfera politica internazionale era abbastanza pesante. I rapporti tra le due grandi potenze erano molto tesi: da una parte la NATO capeggiata dagli USA, e dall’altra il Patto di Varsavia con l’Unione Sovietica in testa. Perciò, ho trovato negli Stati Uniti una situazione particolarmente difficile per le missioni diplomatiche dei Paesi del lager socialista. In primo luogo, i diplomatici di queste missioni erano sottoposti a restrizioni drastiche. Non potevano uscire dalla capitale senza un’approvazione speciale del Dipartimento di Stato. Noi, ad esempio, avevamo l’unica facilitazione di spostarci a New York, poichè ero anche osservatore presso le Nazioni Unite, dove non eravamo stati ancora accolti come membro a pieno titolo, ricordava l’ex diplomatico.
L’attività della missione romena negli Stati Uniti era particolarmente ristretta, rispetto a quella svolta prima della guerra. La distesa era il primo obiettivo auspicato dalle parti, però i passi furono compiuti soprattutto dagli americani. Anton Moisescu ricordava l’apertura dimostrata nei suoi confronti dal presidente Eisenhower alla presentazione delle credenziali.
Insieme a me, c’erano altri 7-8 diplomatici, insieme alle consorti. Il personale militare contava un colonnello, un maggiore e un capitano, anche loro accompagnati dalle mogli. Gli altri formavano il personale amministrativo. Ebbene, eravamo diventati una famiglia. Organizzavamo delle gite, uscivamo insieme nei fine settimana, si andava a pesca. Quando ho inoltrato le credenziali, ebbi una sorpresa molto piacevole, diversa dall’atmosfera generale, quando venni ricevuto dal presidente americano Dwight Eisenhower, l’ex comandante supremo dello sbarco in Normandia durante la guerra e comandante in capo delle forze alleate. Al nostro incontro, il suo atteggiamento fu particolarmente cortese e amichevole. Entrambi abbiamo auspicato lo sviluppo delle relazioni tra gli Stati Uniti e la Romania e una migliore conoscenza reciproca. Alla fine, il presidente mi ha rivolto l’invito a visitare in qualsiasi momento qualsiasi posto degli Stati Uniti, per meglio conoscere l’America. Ciò contraddiceva in un certo qual modo le regole generali imposte ai diplomatici dei nostri Paesi, ricordava ancora Anton Moisescu.
Un altro obiettivo dell’ambasciata romena negli USA era l’infiltrazione nella comunità romena, quasi tutta anticomunista e molto critica nei confronti del regime di Bucarest. Però la strategia emozionale dell’ambasciata, descritta da Moisescu, riuscì a convincere alcuni ad avvicinarsi alla politica di Bucarest.
Abbiamo tentato di stabilire dei rapporti con quanto più romeni – già americani, poichè eravamo isolati anche da loro. Abbiamo allacciato un legame più stretto con la redazione del giornale Il romeno americano. Si trovava a Detroit, dove vivevano molti romeni, parzialmente immigrati prima della guerra per lavorare soprattutto agli stabilimenti Ford. Il caporedattore del giornale e la moglie ci invitarono a visitare Detroit in occasione della festa della donna in America. Mia moglie era ospite. Per l’occasione, abbiamo visitato più città, fermandoci a Detroit, dove abbiamo trovato una sala piena di 250 persone, famiglie, in maggioranza gente anziana che aveva lasciato la Romania da parecchio tempo. Ma c’erano anche dei giovani. Abbiamo presentato un film intitolato La Romania a colori, dedicato al foclore della Transilvania, della Moldavia e di altre regioni. Tutti rimasero talmente commossi che si misero a piangere. Fu un momento molto impressionante, che creò un fortissimo legame tra noi e loro. Abbiamo visitato anche le loro case o i posti di lavoro. Mi hanno messo in contatto con la direzione dell’azienda, ho visto l’intero processo produttivo delle auto che ho valorizzato al rientro a casa, per la nostra azienda automobilistica, aggiungeva il diplomatico.
Le relazioni romeno-americane sono tornate veramente alla normalità appena dopo il 1989. Fino allora, ebbero un’evoluzione sinuosa, dalla cooperazione limitata fino alla ripresa delle vertenze, alla fine degli anni 1980.