La Shoah in Romania
LOlocausto rappresenta la forma massima di odio di cui lessere umano fu capace nel corso della storia.
Steliu Lambru, 08.10.2013, 10:47
L’Olocausto rappresenta la forma massima di odio di cui l’essere umano fu capace nel corso della storia. Dal disprezzo alla retorica razzista sull’inferiorità, i professionisti dell’odio hanno compiuto un ulteriore passo verso la deportazione e l’assassinio di massa, senza discriminazione.
Le vittime furono soprattutto ebrei e rrom. La Romania ha la sua parte di responsabilità nei crimini della Shoah, responsabilità assunta nel Rapporto Wiesel del 2004, quando decretò la data del 9 ottobre come Giornata Nazionale dell’Olocausto.
L’archivio del Centro di Storia Orale di Radio Romania custodisce testimonianze di particolare rilievo di coloro che hanno vissuto gli anni del periodo interbellico e della seconda guerra mondiale. Il medico Radu Petre Damian, ricordava in un’intervista del 1999, alcune manifestazioni antisemite alla Facoltà di Medicina di Cluj.
“Nel primo anno si facevano dissezioni, per studiare la muscolatura, l’osteologia e la miologia e per analizzare gli organi interni. Al nostro tavolo di dissezione c’erano anche due ebrei, tra cui uno di nome Davidson. Uno di noi gli disse: “Senti, non abbiamo mai visto un cadavere di ebreo!” E la risposta fu: “Noi non profaniamo i nostri cadaveri!” Ciò che seguì fu terribile. Tutta la sala sembrava essere impazzita, le ossa, i femori, tutto fu lanciato verso gli ebrei. Si ritirarono in un angolo, tremando per ciò che sarebbe successo. Con grande fatica alla fine si calmarono gli spiriti. “Come dire una cosa del genere?!” Cioè noi profaniamo i nostri cadaveri?!” Subito dopo, gli studenti fecero un riunione nel cortile della facoltà per decidere se scioperare o meno e che misure prendere. Alla fine si calmarono tutti e concordammo che non avremmo fatto nulla a patto che non parlassero mai più così”, ricordava il medico.
Lo storico dell’arte Radu Bogdan aderì al movimento comunista sin da giovane. Ma non fu dogmatico, sebbene fosse sopravvissuto al campo di concentramento. In un’intervista del 1995 ricordava che il comandante del suo lager era stato un vero salvatore, ed aveva mantenuto i propri principi anche di fronte a ordini assurdi.
“I veri salvatori sono come il mio comandante di lager, che amai e rispettai moltissimo, e con cui rimasi in rapporti amichevoli. Era una persona straordinaria, si chiamava Petre N. Ionescu. Era consigliere presso la Corte di Appello di Bucarest e membro di una famiglia di magistrati di grande prestigio a Iaşi. A Osmancea, dove ci rinchiusero, c’era dunque questo magistrato, soprannominato Mickey Mouse, piccolino, ma nel suo aspetto nessuno avrebbe potuto intuire le sue straordinarie risorse morali. Una persona particolarmente integra e degna. Ricordo che un giorno venne in ispezione, non annunciato, il colonnello Corbu, che lo trovo senza cravatta. Faceva caldo e lo colse in un momento di relax. Cominciò a strillare e a rimproverarlo che andava in giro senza cravatta. Ma lui gli rispose così: “Colonnello, è vero che io sono solo tenente, mentre Lei è colonnello, ma non Le permetto di parlarmi con questo tono e tanto meno di alzare la voce. Non dimentichi che nella vita civile sono un alto magistrato, consigliere alla Corte d’Appello e mi deve rispetto!” Quest’uomo non ha mai preso tangenti in vita sua. Alle persone che non sapevano più cos’era successo con le loro case, permetteva di andare a vedere. Le lasciò portarsi nel lager anche bombole a gas per riscaldarsi. Nessuno fu perseguitato nel lager da lui diretto, per cui ho sempre ammirato il coraggio e la coscienza di questa persona”, raccontava Radu Bogdan.
Sonia Palty finì nel lager negli anni della guerra e fu testimone di un episodio commovente sulla riva del fiume Bug. La registrazione è del 2001:
“Una mattina, il viceprefetto Aristide Pădure entrò a cavallo nel lager e disse: tutti gli ebrei, sulla riva del Bug! Vi facciamo passare dall’altra parte, dai tedeschi!” Sapevamo che ciò che diceva era sinonimo della morte! Mio padre aveva tre pasticche di arsenico, come anche la famiglia Brauch. Il signor Brauch diede una pasticca al mio amico Fritz, allora ventenne. Io avevo 15 anni. Ci disse: Quando saremo nella barca, prendiamo la pasticca, non ha alcun senso finire in mano ai tedeschi.” Prendemmo le pasticche in mano, ma io e Fritz ci mettemmo d’accordo di non prenderle perché volevamo vivere. Si sedemmo sulla riva del Bug e alzando gli occhi vedemmo, a 40-50 metri da noi, molti zingari che trainavano i propri carri perché i cavalli glieli avevano portati via. Dai carri scesero donne e bambini e cominciò il loro trasporto dall’altra parte del Bug. Seguì un incubo: le zingare, appena arrivate in mezzo all’acqua, buttarono prima i bambini, dopo di che si buttarono anche loro nel fiume. Sulla riva, gli uomini, il resto della famiglia e gli altri bambini cominciarono a urlare e a strapparsi i cappelli. Guardandoli, ci immaginavamo che ci aspettasse la stessa situazione”, ricordava anche Sonia Palty.
L’Olocausto fu l’espressione dell’odio, delle ossessioni e della cecità generalizzata. Le sue lezioni sono dure e il messaggio chiaro. Però tuttavia l’umanità non è del tutto guarita dalle tentazioni del radicalismo.