La Securitate e la corrispondenza dei romeni
Normalmente, gli archivi delle intelligence custodiscono documenti contenenti dei dettagli sul lavoro informativo di uno stato, su operazioni segrete, su questioni diplomatiche o su vari interessi politici.
Steliu Lambru, 04.03.2013, 15:11
Normalmente, gli archivi delle intelligence custodiscono documenti contenenti dei dettagli sul lavoro informativo di uno stato, su operazioni segrete, su questioni diplomatiche o su vari interessi politici. Come tante istituzioni dei Paesi comunisti, la Securitate, la polizia politica del regime comunista, aveva la caratteristica di controllare interamente la società. La corrispondenza fu una delle fonti di informazione predilette della Securitate e con l’aiuto del suo apparato repressivo seppe come reagire a certi comportamenti sociali nel più cupo periodo della storia recente della Romania.
Liviu Ţăranu, ricercatore presso il Consiglio Nazionale per lo Studio degli Archivi della Securitate, è il curatore del volume “I Romeni nell’Epoca d’Oro. Corrispondenza degli anni ‘80” in cui sono raccolte alcune delle lettere inviate dai romeni alle istituzioni dello stato negli anni 1980. Il sintagma Epoca d’Oro, creazione della propaganda comunista, era parte del linguaggio e del culto della personalità di Nicolae Ceauşescu, ed era inteso a illustrare quello che il regime riteneva le performance raggiunte dalla Romania sotto la sua “saggia” direzione. La situazione reale era però il contrario di quella descritta dalla propaganda: crisi materiale e spirituale profonda e generalizzata, e degrado psicologico accentuato.
Abbiamo chiesto a Liviu Ţăranu come potrebbe essere riassunto lo stato d’animo dei romeni nel nono decennio della cosiddetta Epoca d’Oro così come traspare dalle lettere. “Pessimistico e tragico. Forse il termine più adatto sarebbe drammatico. Ci sono lettere dalle quali traspare l’umorismo romeno. Ma domina la nota tragica, perchè il malcontento e le carenze quotidiane erano onnipresenti. Soprattutto coloro che avevano famiglie numerose lamentavano tutta una serie di difficoltà: il cibo, la corrente elettrica, il carovita e l’incertezza sul posto di lavoro. E’ davvero soprendente che negli anni 80 si parlasse dell’incertezza sul posto di lavoro e che questo fosse un argomento assai frequente”, spiega Liviu Ţăranu.
Come dimostrato dagli storici nei loro saggi, la Securitate controllava attentamente la corrispondenza. Quella indirizzata alle istituzioni era verificata interamente. Tutte le lettere rivolte ai giornali, al Comitato Centrale, alle persone giuridiche, soprattutto della capitale, venivano filtrate dalla Securitate. Molte arrivavano alla destinazione, ma quelle contententi commenti estremamente critici, non erano più inserite nel circuito postale, per cui non arrivavano al destinatario. Ne troviamo gli originali nei dossier della Securitate. Però c’erano anche casi in cui i romeni mandavano lettere che arrivavano alle autorità del partito e dello stato”, aggiunge lo storico.
La scontentezza dovuta al tenore di vita era dominante. C’era poi anche la paura di perdere il posto di lavoro, un fatto inimmaginabile per un regime che pretendeva di essere uno degli operai. Tale paura contraddice il cliché che negli anni del socialismo il posto di lavoro fosse sicuro. Tale timore era giustificato perchè la disorganizzazione nelle imprese statali, dovuta al fatto che venivano operati cambiamenti troppo rapidi, influiva sull’economia. C’era anche il problema della vendita dei prodotti fabbricati dalle imprese romene, le quali spesso non avevano la materia prima per produre quanto pianificato. Gli operai non prendevano gli stipendi e la direzione tentava di limitare il numero dei dipendenti per poter pagare gli stipendi agli altri operai. Tutte quelle riorganizzazioni e difficoltà a livello macroeconomico portavano all’incertezza sui posti di lavoro e alla disoccupazione. Alcuni venivano semplicemente licenziati e dovevano cercarsi un altro lavoro”, dice ancora Liviu Ţăranu.
Una delle spiegazioni per il fatto che la rivoluzione romena sia stata così violenta è l’autorità portata all’estremo. Lo si nota nella corrispondenza riportata nel volume ricordato. In tutti i Paesi comunisti c’era la crisi, ma da nessuna parte la libertà di esprimere la propria scontentezza non veniva punita con tanta severità come nella Romania di Ceauşescu. Abbiamo chiesto a Liviu Ţăranu se c’è un legame tra la severità del regime negli anni ’80 e le violenze del dicembre 1989.
Ne sono convinto. Perchè le tensioni non erano state sciolte al momento giusto, si erano accumulate, per cui hanno cominciato a manifestarsi sotto varie forme. Il fatto di aver tenuto sotto controllo quelle tensioni per un decennio, sebbene le cose andassero male già prima del 1980, non fece che determinare quella ribellione violenta. Il malcontento era troppo grande per cui le cose non potevano andare in modo liscio e pacifico, come in Cecoslovacchia o in altri Paesi della zona”, conclude lo studioso. (trad. Gabriela Petre)