La Romania e la Grande Guerra
Il primo conflitto mondiale fu chiamato anche la Grande Guerra perché mai aveva visto fino allora cose talmente orrende. Come tutte le altre nazioni, la Romania entrò in conflitto con grande entusiasmo, crollato, però, a breve.
Steliu Lambru, 19.09.2014, 14:31
Il primo conflitto mondiale fu chiamato anche la “Grande Guerra” perché mai aveva visto fino allora cose talmente orrende. Come tutte le altre nazioni, la Romania entrò in conflitto con grande entusiasmo, crollato, però, a breve.
Dopo due anni di neutralità, nell’agosto 1916, l’esercito romeno entrò in guerra al fianco della Triplice Intesa, penetrando in Transilvania, provincia abitata da popolazione e maggioranza romena, che a quei tempi faceva parte dell’Austria-Ungheria. Dopo quattro mesi di combattimenti, a dicembre 1916, Bucarest fu occupata e le istituzioni dello stato si rifugiarono in Moldavia. Alla fine, nel 1918 la Romania si trovò dalla parte dei vincitori, passando dall’agonia all’estasi.
Le testimonianze conservate nelle teche di Radio Romania ci svelano un Paese in guerra in cui la gente aveva fatto di tutto per una situazione migliore. Il generale Titus Gârbea, intervistato nel 2001, ricordava l’atmosfera esuberante che dominava la società romena negli anni prima della guerra.
“Mio padre proveniva dalla provincia di Gorj. Mia madre era di Făgăraş, figlia di un prete con studi a Vienna, che era andato poi in Italia. Pensava solo alla sua Italia, per cui ai figli fece imparare l’italiano. Mia madre parlava l’italiano e lo insegnò pure a noi. C’era una forte atmosfera di patriottismo nella nostra casa. Vicino alle icone c’erano i ritratti dei martiri del popolo: Horia, Cloşca e Crişan, con a capo Michele il Bravo. Dall’altra parte c’era il re, perché eravamo tutti monarchisti! Era Carlo il Grande! E si cantava “Evviva il Re!”. Gli intellettuali contribuivano molto a questo spirito”, ricordava il generale.
Da parte sua, il generale Constantin Durican ha combattuto nella prima guerra mondiale come sanitario su un’autolettiga.
“Nel 1916, ricevemmo un ordine di andare all’ospedale allestito presso il liceo Petru Rareş. Allora c’era una compagnia di pronto soccorso divisa in due. L’autolettiga trasportava i feriti dal campo di guerra agli ospedali interni. Io facevo il barelliere. Venivamo con le macchine e i letti dell’ospedale di Piatra Neamţ si riempivano. Di ospedali ce n’erano tanti, tutte le scuole erano state trasformate in ospedali”, raccontava Constantin Durican.
Il politico Constantin Moiceanu era socialdemocratico, nel partito anticomunista presieduto da Constantin Titel-Petrescu. Nel 2000, ricordava le realtà del fronte nei pressi della sua località natale e i rapporti dei civili con i russi, alleati dei romeni.
“Il fronte era vicino. I miei fratelli, ma anche tutti gli altri originari della zona, venivavo di notte, quando il fronte era tranquillo, e ci raccontavano chi era morto ancora e come erano andate le lotte. Avevamo il vantaggio di conoscere il terreno. Ad un certo momento arrivarono le truppe russe. I russi avevano la fama di essere ubriaconi e di fare casino quando si ubriacavano. I miei genitori erano abbienti e avevano in cantina botti di vino e di grappa, una casa e circa un ettaro e passa di giardino. Mi ricordo che un giorno qualcuno aveva annunciato l’arrivo dei russi. I miei assieme ad altri portarono le botti nel cortile, le aprirono e ne versarono per terra il contenuto perché non avevano un posto dove nasconderle e sapevano che i russi erano terribili dopo che consumavano alcol”, ricordava anche Constantin Moiceanu
Gavril Vatamaniuc fu l’unico a sopravvivere del gruppo di resistenza anticomunista della Bucovina. Nel 1993, evocava un collega detenuto nel carcere di Gherla, un francese che aveva lottato come volontario accanto ai romeni e che era rimasto in Romania dopo la fine della guerra.
“Non posso dimenticare che quest’uomo di oltre 70 anni mi ha raccontato che nel 1916 era venuto come giovane ufficiale francese volontario a lottare accanto all’eroico esercito romeno contro la Germania. Lottò sul fronte della Moldavia, fu ferito, portato in un ospedale di Iaşi e curato con grande affetto da una ragazza molto bella, una moldava di nome Maricica. Si era innamorato della sua Maricica e, non appena guarito, aveva deciso di sposarla. Vendette tutto ciò che possedeva in Francia e si stabilì in Romania. Diventò un piccolo farmer, che con le sue conoscenze e le sue possibilità se la cavava abbastanza bene. Poi arrivò il comunismo che ritenne di dover distruggere questo farmer”, raccontava Gavril Vatamaniuc.
Cent’anni dopo la Grande Guerra, l’Europa ha ancora una memoria viva del conflitto che ha segnato l’inizio di un’altro periodo storico. (traduzione di Gabriela Petre)