La Romania e la decolonizzazione africana
Dopo la fine della seconda Guerra mondiale nel 1945, il movimento di decolonizzazione cominciò a segnare le relazioni internazionali, visto che la dominazione degli imperi coloniali era assai contestata.
Steliu Lambru, 19.11.2013, 09:12
Dopo la fine della seconda Guerra mondiale nel 1945, il movimento di decolonizzazione cominciò a segnare le relazioni internazionali, visto che la dominazione degli imperi coloniali era assai contestata. Però la decolonizzazione significò anche violenze e persino guerre civili tra i gruppi politici che proponevano modelli concorrenti di sviluppo dei nuovi stati, incapaci, però di dialogare. In pochi casi la situazione si risolse in maniera pacifica, come in India.
La decolonizzazione dell’Africa fu fortemente sostenuta dall’Unione Sovietica e dalla Cina, Paesi comunisti in cerca di sfere di influenza nella lotta contro il capitalismo. Nella maggior parte delle colonie africane, le dispute si risolsero tramite guerra perché le guerriglie comuniste, sovvenzionate e munite di armamento dal blocco comunista, rifiutarono i negoziati con gli altri gruppi politici.
Come tutti gli stati comunisti, anche la Romania si impegnò nella decolonizzazione africana, provando una soluzione indipendente e puntando sul movimento dei Paesi non-allineati, di cui però non faceva parte.
Mircea Nicolaescu è stato ambasciatore in alcuni Paesi dell’Africa e del Sud America, e come membro della delegazione romena all’ONU, faceva parte del Comitato per la Decolonizzazione. In un’intervista rilasciata nel 1996 al Centro di Storia Orale di Radio Romania, Mircea Nicolaescu ha parlato dei principi della Romania sulla decolonizzazione africana.
Rapporti tra la Romania e gli spazi ex-coloniali c’erano stati anche prima della seconda Guerra mondiale, alcuni assai intensi. Si sono però intensificati nel dopoguerra, soprattutto col tentativo della Romania di entrare nel mondo come Paese indipendente, con la propria politica, alla ricerca di alleanze e di interessi comuni. Uno dei punti degli accordi con queste colonie – Paesi africani riguardava il mantenimento della libertà individuale, il diritto di ogni Paese di scegliere la propria via di sviluppo. La questione del sistema interno, della sua osservanza, è sempre stata sottolineata nei nostri documenti di politica estera”, spiega Mircea Nicolaescu.
Nel caso dei conflitti civili, la soluzione scelta dalla diplomazia romena fu un atteggiamento equidistante, senza impegni aperti al fianco di uno schieramento o di un altro.
Al Cairo erano pochissime le ambasciate visitate da rappresentanti di tutti i movimenti per la liberazione dell’Africa. Negli anni 1961-64, tutti questi movimenti, a prescindere dal colore politico, avevano residenza al Cairo. Però solo alle ambasciate di Romania e di altri 2-3 Paesi venivano rappresentanti di movimenti sia di destra che di sinistra. I sovietici avevano il loro gruppo di clienti che sostenevano fortemente il regime socialista, direttamente sovietico. Anche i cinesi avevano i loro clienti, per non parlare degli americani. Meno i francesi o gli inglesi che erano compromessi. Nei Paesi in cui le vertenze ideologiche avevano frantumato il movimento di liberazione, come in Congo, Angola, Mozambico, Kenya, Zimbabwe e così via, la Romania fu l’unica ad aver mantenuto i contatti sia con gli uni che con gli altri. Abbiamo avuto sempre il canale del dialogo aperto, dicendo però che era compito loro trovare un accordo”, aggiunge Mircea Nicolaescu.
La via di una politica africana indipendente scelta dalla Romania non era gradita dai sovietici. Però l’equidistanza proposta dalla Romania non fu una realistica, e lo dimostra la sua scarsa eco, come risulta dalle spiegazioni di Mircea Nicolaescu.
Alla proclamazione dell’indipendenza dell’Angola, i sovietici avevano organizzato una riunione di tutti gli ambasciatori dei Paesi socialisti per andare a portare insieme il saluto al nuovo presidente eletto. Solo che il rappresentante della Romania, l’ambasciatore Gheorghe Stoian, non accettò di andarci assieme agli altri, andò da solo, prima di tutti, presentò il saluto e il sostegno all’indipendenza dell’Angola. Per tutto quel periodo di confusione, noi abbiamo tenuto i contatti con tutti i movimenti, consigliandoli permanentemente di andare d’accordo tra di loro. I sovietici hanno puntato su uno dei movimenti, gli americani su un altro, i cinesi si sono affiancati agli americani, il che è diventato motivo di guerra. Non è successo lo stesso in Tanzania, dove la maturità delle forze interne è riuscita a stare alla larga sia dagli uni che dagli altri”, dice ancora Mircea Nicolaescu.
L’ex diplomatico ha accennato anche alle peculiarità dell’Africa, che, trascurate, hanno determinato fallimenti, come nel caso dell’Algeria. Per quanto riguarda la visione sul processo di decolonizzazione, a volte si divide in maniera artificiale l’evoluzione della cosiddetta Africa Araba da quella della cosiddetta Africa Nera. Non si può dire che l’Africa sia solo Nera o solo Araba quasi in nessuna delle sue zone. Nell’Africa Sahariana c’è una zona di influenze reciproche. E’ difficile fare una simile separazione anche dal punto di vista storico. Uno degli ultimi stati africani a proclamare l’indipendenza fu l’Algeria. Poche furono le zone coloniali del mondo inserite proprio nel territorio nazionale del Paese-metropoli, come l’Algeria, che fu sciolta come entità e divisa in tre dipartimenti della Francia. Uno degli esempi di fallimento del movimento comunista fu l’Algeria perché non aveva capito che si trattava dell’indipendenza nazionale di un popolo, non dell’indipendenza di tre dipartimenti della Francia”, conclude Mircea Nicolaescu.
Il coinvolgimento della Romania nella decolonizzazione africana significò anche la scelta di una direzione senza prospettive nella diplomazia. Negli anni ’80, isolata dal mondo politico occidentale e tenuta a distanza dai Paesi socialisti, la diplomazia del regime Ceauşescu ha puntato molto sulla carta africana.