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La Romania a 30 anni dal crollo del comunismo

Che cosa ha ottenuto la Romania nei 30 anni passati dal crollo del comunismo? Cè chi direbbe molto, ma cè pure chi sostiene il contrario.

La Romania a 30 anni dal crollo del comunismo
La Romania a 30 anni dal crollo del comunismo

, 31.12.2019, 17:38

Dopo il 1989, è iniziato un nuovo periodo nella storia della Romania e dell’Europa Centrale ed Orientale in generale, la zona geopolitica di cui fa parte. Che cosa ha ottenuto la Romania nei 30 anni passati dal crollo del comunismo? C’è chi direbbe molto, ma c’è pure chi sostiene il contrario.



Gli storici e gli specialisti di scienze psico-sociali hanno studiato il più diffuso sentimento nelle società postsocialiste, quello della nostalgia dei decenni precedenti il 1989. In tutti i Paesi ex comunisti dell’Europa Centrale ed Orientale esiste un sentimento, un atteggiamento emozionale, per quello che c’era prima del 1989. La gente tende ad addolcire il passato e a collegarlo alla propria vita, a prescindere dalla durità di un regime politico o dei periodi più infelici. Così, la nostalgia tinge di colori vivi il passato e di colori cupi il presente, in cui spesso l’individuo non si ritrova più. In poche parole, per nostalgia, si tende a idealizzare il passato, a considerare che tutto quello che c’era fosse migliore, e a ridicolizzare il presente, caricandolo di tutti gli aspetti negativi.



La Romania non è un’eccezione dal punto di vista di questa nostalgia, verso la quale sono più propensi gli anziani. Però anche se si spiega, questa nostalgia è ingiusta. La Romania è attualmente molto più sviluppata di quanto fosse tre decenni fa, da tutti i punti di vista. La Romania si è trasformata moltissimo, è più sicura di quanto sia mai stata in tutta la sua storia moderna, nonostante le inerzie che la tirano giù.



Tornando alla domanda iniziale, “Che cosa ha ottenuto la Romania nei 30 anni passati dal crollo del comunismo?”, abbiamo chiesto allo storico Dragoș Petrescu, docente presso la Facoltà di Scienze Politiche e Amministrative dell’Università di Bucarest, che cosa ha guadagnato il nostro Paese nei tre decenni trascorsi dal momento 1989: “Per la Romania ci sono guadagni certi. Ovviamente, la mia generazione, che non avrebbe mai sognato di viaggiare nell’Occidente, che ha vissuto nel periodo di crisi degli anni 80, li percepisce diversamente della generazione nata dopo il 1989. La Romania è membro dell’Unione Europea, è membro della NATO. Evidentemente, l’economia di mercato forse non è del tutto funzionale, ma funziona. Esiste un settore privato dinamico, ci sono investimenti stranieri. Ci sono molte cose che ci dimostrano che la Romania sia sulla giusta strada.



Molti dei rimproveri fatti alla società attuale da persone con atteggiamenti nostalgici sono generati, infatti, dalle proprie debolezze e incapacità. Sono una manifestazione della mentalità collettiva, degli automatismi e dei cliché di cui le persone fanno fatica a liberarsi. Dragoș Petrescu ha attribuito tutto questo alla cultura politica che non può cambiare così facilmente. “Esistono però molte cose che dipendono da noi, romeni, dalla nostra cultura politica. Cioè dalla generalizzazione di una cultura politica democratica di cui, in un certo modo, siamo consapevoli. Sappiamo come dovremmo procedere, senza lamentarci, senza aspettare aiuto dall’esterno, a cominciare da cose molto serie attinenti alla sicurezza nazionale. Il fatto che la Romania non sia ancora capace di difendere da sola il suo spazio aereo con le proprie forze, oppure di contribuire con forze proprie dimostra qualcosa. La corruzione politica, la vendita della decisione politica a chi offre di più ci ha portati in questo punto. E di questo non è colpevole il regime di Ceaușescu, ma i politici eletti dai romeni, spesso tramite scelte imprudenti, oppure senza dare il peso dovuto al proprio voto. È molto importante chi eleggiamo, perché, dopo, potremmo rimpiangere le nostre decisioni.



Gli insuccessi appartengono alla società attuale, oppure sono da attribuire all’eredità comunista? Dragoș Petrescu è del parere che si tratti di un abbinamento tra l’eredità comunista e quello che c’era prima del comunismo. “Abbiamo un’eredità, è vero, ma non è l’eredità pesante del passato comunista. È l’eredità di un Paese che si piazza alla base della diagonale dello sviluppo europeo, che parte dal sud-est e va verso il nord-ovest dell’etica protestante, come diceva il grande sociologo tedesco Max Weber. Noi, romeni, siamo qui, nel sud-est dell’etica ortodossa, dove le cose sono più complicate, dove la gente aspetta piuttosto di ricevere elemosina, che imparare a lavorare e a vivere bene. Ci sono molti aspetti legati al sottosviluppo di una zona che è stata definita semiperiferia.



Come qualsiasi altra società, anche quella romena deve guardare avanti per avere un senso dell’esistenza. Dragoș Petrescu afferma che le generazioni future faranno i cambiamenti dovuti, così come le generazioni passate e quelle attuali hanno portato la Romania in questo momento storico. “D’altra parte, ci sono cose che dovrebbero renderci più ottimisti. La diaspora transnazionale, che va a lavorare nell’Occidente, si forma politicamente nei Paesi più sviluppati. Ma torna a casa e vorrebbe vedere dei cambiamenti. Questo slogan che a me piace, vogliamo un Paese come all’estero, infatti, vogliamo un Paese come le democrazie consolidate, potrebbe dimostrarci che esiste questo dinamismo nelle generazioni giovani.



A 30 anni dal momento 1989, la Romania è un Paese stabile, in cui la libertà è il principale punto di riferimento. Ed è, in fin dei conti, la cosa più importante.

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