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La guerra in Transnistria

Le riforme avviate dal leader sovietico Mikhail Gorbachev, conosciute anche come perestrojka e glasnost, alla metà degli anni 1980, non furono per niente utili allUnione Sovietica.

La guerra in Transnistria
La guerra in Transnistria

, 15.03.2015, 14:02

Le riforme avviate dal leader sovietico Mikhail Gorbachev, conosciute anche come perestrojka e glasnost’, alla metà degli anni 1980, non furono per niente utili all’Unione Sovietica. Il suo crollo nel 1991 confermò il fallimento del sistema fondato nel 1917 dalla rivoluzione bolscevica di Lenin. Ma lo smantellamento dell’URSS lasciò aperta l’opzione degli scontri armati. Anche se il regime comunista sembrava aver posto fine alla possibilità che i conflietti fossero risolti per via militare, essi erano stati solo congelati o rinviati.



La scomparsa del vecchio sistema sovietico significò anche un ripensamento del modo in cui la Russia, da principale succesore dell’URSS, avrebbe mantenuta la sua influenza nelle ex repubbliche unionali. Uno dei metodi fu quello di incoraggiare i movimenti separatisti. Le prime sulla lista del Cremlino furono Georgia e Moldova, l’Ucraina essendo ancora considerato uno stato fedele a Mosca. Già dal 1990, in Georgia proclamarono la loro indipendenza le repubbliche-fantasma Ossezia del Sud e Abcasia, mentre in Moldova apparvero la Transnistria e la Gagauzia. Tutti questi territori sono subordinati, secondo il diritto internazionale alla Georgia e alla Moldova, non essendo riconosciute da nessun altro stato.



La proclamazione della Repubblica Moldava di Transnistria il 2 settembre 1990 dopo che la Moldova aveva dichiarato la sua sovranità il 23 giugno 1990 aprì la strada verso il separatismo. Al censimento del 1989, la popolazione in Transnistria era formata da: moldavi – il 39,9%, ucraini – il 28,3%, russi – il 25,4% e bulgari – l’1,9%. Dopo che la Moldova diventò membro dell’ONU, il 2 marzo 1992, il presidente moldavo Mircea Snegur autorizzò l’intervento militare contro le forze ribelli che avevano attaccato posti di polizia fedeli a Chişinău sulla riva orientale del Dniester e a Tiraspol. I ribelli, aiutati dalle truppe sovietiche della Quattordicesima Armata, consolidarono il loro controllo sulla maggioranza nella zona. L’esercito moldavo, in inferiorità, non potè riconquistare il controllo sulla Transnistria neanche oggi, nonostante le mediazioni degli ultimi 25 anni.



Mircea Druc fu primo ministro della Moldova dal 25 maggio 1990 al 28 maggio 1991. Quando scoppiò il conflitto, era uno dei capi del partito all’opposizione, il Fronte Popolare Moldavo. Secondo lui, la guerra in Transnistria non poteva essere evitata.



Dal mio punto di vista, la Guerra russo-romena sul Dnister del 1992, non poteva essere evitata, per quanto tentassimo ora di accusare gli uni o gli altri. La sfortuna degli abitanti della Bessarabia e di quelli della riva sinistra del Dniester fu banale: la presenza, al di là del Dniester, degli arsenali e dei depositi d’armi evacuate dall’esercito sovietico dai Paesi dell’ex lager socialista. La era stato depositato tutto l’armamento proveniente da Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Bulgaria, da tutti i Paesi in cui c’erano stati i sovietici. Secondo calcoli elementari, c’era armamento per un valore di oltre 4 miliardi di dollari. Nel 1989 e 1990, in mezzo alla perestrojka di Gorbachev, scoppiò il conflitto fra Tiraspol e Chişinău perché il complesso militare-industriale di Tiraspol non poteva ammettere, assieme ad altre forze anti-Gorbachev e anti-perestrojka, che l’Unione Sovietica stava per scomparire. Rifiutavano una verità molto semplice: prima o poi tutti gli imperi crollano. Fino ad agosto 1991, quelle forze militarono e credettero che avrebbero potuto salvare l’Unione Sovietica, che il garante del loro benessere e della loro felicità sarebbe sopravvissuto. Però crollò nell’agosto del 1991. L’Unione Sovietica scomparve de iure il 5 dicembre 1991 dopo la firma da parte dei tre presidenti di Russia, Bielorussia e Ucraina dell’atto di smantellamento dell’Unione Sovietica”, spiega Mircea Druc.



L’ex primo ministro è del parere che la guerra ebbe una forte motivazione economica, altrettanto importante come quella geostrategica.



A Chişinău, alcuni clan avevano un unico problema di governo: come dividere l’eredità sovietica, il complesso agrario-industriale. Dunque la ricchezza delle aziende collettive, dei kolchoz, dei sovchoz, e di tutto ciò che si era accumulato per 50 anni grazie agli sforzi del popolo fra il Dniester e il Prut. In Transnistria, circolava invece una formula molto triviale: dicevano che non si dovevano lasciare in mano agli stronzi moldavi o ai romeni fascisti i 4 miliardi di dollari. Giravano parolacce contro Yeltsin e contro i responsabili di Mosca perché avevano detto che tutto ciò che si trovava sul territorio di un’ex repubblica sovietica socialista diventava di proprietà della rispettiva repubblica. Si chiesero cosa c’era da fare. «Non permetteremo» — dicevano — «che la ricchezza sia divisa». Perciò arrivarono a opporre resistenza. Se non vi fosse stato quel tesoro, quella fonte di arricchimento, non avrebbero lottato così fortemente Chişinău e Tiraspol, e non sarebbe intervenuta la terza forza che io personalmente sentivo allora che esisteva. Perché le truppe sovietiche non trattarono anche noi, i romeni della Bessarabia, come fecero con gli aristocratici” baltici? Perché — così la penso io — si rendevano conto che i romeni della Bessarabia erano molto più avventati e che lo spargimento di sangue era inevitabile. Ma quando apparve la possibilità di dare a Snegur tutti e 4 i miliardi, dissero di no. Persino i democratici di Yeltsin a Mosca decisero di intervenire, anche con la Quattordicesima Armata. Ma alla fine venimmo a sapere che tutto l’arsenale era stato venduto e i soldi gestiti da Ruckoj e Černomyrdin. Dopo 23 anni non c’è più nulla da dividere nella zona”, ha aggiunto Mircea Druc.



Negli scontri morirono circa 600 combattenti da ambo le parti. Nel 1992, in seguito ad una convenzione sulla regolamentazione pacifica del conflitto firmata fra la Moldova e la Russia, fu accettato lo status-quo esistente sul terreno, il che significò la perpetuazione del conflitto fra Chişinău e Tiraspol. (traduzione di Gabriela Petre)

Foto: pixabay.com
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