I tedeschi in Romania dopo il 1945
La Seconda Guerra Mondiale lasciò dietro una nuova configurazione etnica, risultato di un terremoto senza precedenti nella storia del mondo.
Steliu Lambru, 29.10.2018, 17:16
La Seconda
Guerra Mondiale lasciò dietro una nuova configurazione etnica, risultato di un
terremoto senza precedenti nella storia del mondo. Tutti i Paesi, vincenti o
perdenti, cercarono di riprendersi dal punto di vista demografico ed economico
dopo il disastro durato quasi 6 anni, quanto durò la guerra. Oltre agli ebrei,
di cui morirono milioni nei campi di concentramento nazisti, i più colpiti
furono i tedeschi. In un certo senso, la loro tragedia è adesso comprensibile:
considerati colpevoli di tutti gli
orrori della guerra, essi hanno pagato da tutti i punti di vista, economico,
umano e sociale.
I tedeschi
in Romania, noti col nome di sassoni e svevi, come le altre comunità tedeche
dell’Europa Centrale ed Orientale, hanno sofferto tanto. Negli anni della
Romania comunista, i sassoni e gli svevi che non morirono sul fronte, quelli
che sono sfuggiati alle deportazioni nell’URSS e i pochi che tornarono
dall’URSS scelsero di emigrare nella Repubblica Federale Tedesca. Durante il
regime comunista, dal 1945 al 1989, l’esodo dei tedeschi fu uno sistematico che
portò quasi alla loro scomparsa dalla Romania. Quel esodo ha una doppia
spiegazione: la politica della Repubblica Federale Tedesca nei confronti dei
tedeschi dell’Europa Centrale ed Orientale e il desiderio dello stato comunista
di guadagnare soldi da quella politica tedesca.
Il
sociologo Remus Anghel studia la migrazione presso l’Istituto per lo Studio dei
Problemi Nazionali di Cluj-Napoca. È coautore di un volume sulla storia della
comunità tedesca in Romania a partire dagli anni 1930.
Le
associazioni dei tedeschi in Romania hanno svolto un ruolo nel convincere il
governo tedesco ad iniziare il programma di sostegno agli etnici tedeschi in
Romania nel senso di offrire compensi finanziari al governo romeno. Infatti, c’è
stato un antecedente nella migrazione degli ebrei in cui ci sono state delle
intese tra il governo romeno e quello israeliano, con cui è stata facilitata la
migrazione degli ebrei. Noi, in Romania, abbiamo la tendenza di capire le cose
che riguardano il contesto romeno dalla prospettiva del contesto romeno. Ma
esse non vanno viste cosi’. La storia dei tedeschi in Romania del ventesimo
secolo è legata a due momenti essenziali, a due persone essenziali: Hitler e Stalin.
Come tutti i tedeschi nell’est e centro dell’Europa, essi sono intrappolati nel
mezzo, tra l’espansione della Germania nazista, la guerra e le conseguenze
della guerra, ha precisato Remus Anghel.
Dopo la
guerra, circa 12 milioni di tedeschi dell’Europa Centrale e dell’Est sono stati
costretti a rifugiarsi nella Germania Federale, circa 1 milione di essi sono
morti durante il viaggio. Fu un dramma collettivo nella Germania Occidentale
che fu consapevole della sua colpa e ebbe una politica di responsabilità. Remus
Anghel afferma che la relocalizzazione dei tedeschi dalla Romania era in una
certa misura prevedibile sin dal periodo della guerra.
Dal
periodo della guerra e dopo c’è stato un movimento a sostegno della partenza
dei tedeschi dalla Romania. Vivendo nel comunismo, noi non eravamo consapevoli
di questo movimento, sapevamo solo che c’erano alcune comunità di tedeschi. Ma
quasi il 40% degli svevi del Banato partirono oppure morirono in guerra. Practicamente,
tutti i giovani si arruolarono nell’esercito tedesco oppure nelle SS oppure
morirono, oppure partirono direttamente per la Germania. Le popolazioni
tedesche della Dobrugia, Bucovina, Bessarabia e del Vecchio Regno furono
spostate verso la Gemania negli anni 1940, prima in Polonia, poi in Germania. Nel
primo dopoguerra ci fu una popolazione di 750.000 tedeschi in Romania e nel
secondo dopoguerra di 300-310.000, spiega Remus Anghel.
Dopo il 1989, gli storici romeni hanno
parlato della partenza dei tedeschi come di una loro vendita. Secondo chi se
n’è andato, la somma che un tedesco pagava si aggirava su 5 – 15.000 marchi tedeschi. I drammi sono apparsi
per coloro senza soldi che passarono il confine illegalmente, molti essendo
uccisi. Remus Anghel ha parlaro della partenza dei tedeschi dalla Romania come
di un saccheggio cui la gente è stata sottoposta.
Il
fenomeno della vendita va visto da due prospettive. Da quella tedesca era visto
come una responsabilità. Non si trattava di portare i tedeschi dall’est strettamente
come forza lavoro perchè potevano prendere forza lavoro a basso costo da
qualsiasi posto e ne prendevano. Gli etnici tedeschi in Romania soffrirono più
dei romeni, i magiari e altre nazioni durante il comunismo, quasi tutte le
famiglie ebbero almeno un membro deportato, soprattutto le donne e gli uomini
tra 18-45 anni. Fu un dramma sociale che noi, i maggioritari, non abbiamo
percepito. Quel dramma li ha fatti perdere la fiducia e il sentimento di
appartenenza a questa zona. Per la Germania, il riscatto dei sassoni e degli
svevi fu un processo riparatorio. Per la Romania fu un’intesa scorretta. Ciò
che nascondeva l’intesa formale era l’intesa informale. Dopo il 1977 ci furono
moltissime domande di partenza, le quote erano stabilite a 10-15.000 persoane,
non erano quote alte. Quando una persona inoltrava i documenti di partenza
iniziava una vera disavventura, partiva un processo amministrativo: perdeva il
posto di lavoro, doveva vendere la casa ad un prezzo molto basso. Era un
processo doloroso che un Hansi oppure uno Jurgen preferiva pagare.
Praticamente, fu una specie di estorsione dei tedeschi e dello stato tedesco in
vista dell’emigrazione. Dal mio punto di vista, non erano i soldi il problema,
bensi’ il modo in cui furono trattate le persone, ha raccontato Remus Anghel.
Con la
partenza dei tedeschi, la Romania subi’ una perdita di diversità etnica. Ma per
quelli che giunsero laddove desideravano fu molto meglio. E fu ciò che contò di
più per loro.