I rapporti della Romania con il Vaticano
Lo spazio romeno, oggi prevalentemente cristiano-ortodosso, è stato uno spazio di interferenze spirituali e religiose. La convivenza multiconfessionale dei cristiani è attestata fin dal Medioevo.
Steliu Lambru, 29.09.2024, 19:26
Lo spazio romeno, oggi prevalentemente cristiano-ortodosso, è stato uno spazio di interferenze spirituali e religiose. La convivenza multiconfessionale dei cristiani è attestata fin dal Medioevo, le fonti registrano notizie sulla presenza di minoranze accanto alle maggioranze: cattolici accanto a ortodossi, riformati ed evangelici accanto a cattolici e ortodossi, uniati e cattolici insieme a riformati e ortodossi, neoprotestanti e le altre fedi. La più antica presenza cattolica nello spazio romeno si trova nel territorio intracarpatico, precisamente nell’arcidiocesi di Alba Iulia, che risale all’XIesimo secolo. Nella cattedrale romano-cattolica della città di Alba Iulia è sepolto il voivoda della Transilvania e reggente d’Ungheria Iancu de Hunedoara, padre del re d’Ungheria Mattia Corvino, di religione cattolica e di origine romena, morto di peste nel 1456. La prima presenza cattolica nello spazio extra-carpatico romeno è dovuta al regno di Ungheria e Polonia.
I vescovadi cattolici sui versanti orientali e meridionali dei Carpazi erano quelli di Siret, nel nord, fondato nel XIII secolo, quello di Milcov, all’incontro dei Carpazi Orientali con i Carpazi Meridionali, anch’esso del XIIIesimo secolo, e quello di Severin, all’incontro dei Carpazi con il Danubio, del XIVesimo secolo. Fino all’ascesa dell’Impero Ottomano nell’Europa sud-orientale alla fine del XIVesimo secolo, cattolici e ortodossi, sebbene spesso divisi da idee politiche, facevano parte dello stesso mondo cristiano. Le ultime Crociate furono alleanze tra re e principi cattolici e ortodossi, e le coalizioni anti-ottomane dei secoli XVII e XVIIIesimo cooptarono eserciti di tutte le confessioni cristiane.
Con il declino dell’influenza ottomana a nord del Danubio a partire dal XVIIIesimo secolo e la penetrazione delle idee occidentali di modernizzazione nei Principati di Moldavia e Valacchia, aumenta anche la presenza cattolica. I primi due re di Romania della dinastia Hohenzollern-Sigmaringen, Carlo I e Ferdinando I, sotto i quali si formò e si espanse il moderno stato romeno, erano cattolici. Nel 1883 fu istituita l’arcidiocesi cattolica romana di Bucarest, durante il regno di Papa Leone XIII. E la lettera apostolica “Praecipuum munus” del 27 aprile 1883, con la quale la Santa Sede elevò il vicariato apostolico della Valacchia al rango di arcivescovado, significò un riconoscimento dell’importanza dello Stato romeno, divenuto regno nel 1881.
Alla fine della Prima Guerra Mondiale, la Romania e il Vaticano formalizzarono le relazioni bilaterali. Se le presenze cattoliche nello spazio romeno erano state le basi storiche su cui si erano fondate le relazioni tra i due Stati, nel 1920 ebbe inizio l’apertura delle ambasciate. Nel 1927, attraverso il Concordato firmato dalle due parti, fu garantita la pratica del culto cattolico in Romania. Il concordato prevedeva, tra l’altro, il riconoscimento della personalità giuridica della Chiesa cattolica in Romania, i leader religiosi dovevano essere cittadini romeni, la Chiesa poteva aprire scuole, ospedali, orfanotrofi e altre istituzioni sociali ed educative.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, sconfitta e occupata dall’esercito sovietico, la Romania venne completamente sottomessa dal nuovo regime comunista. La politica antioccidentale del regime filosovietico di Bucarest raggiunse le sue forme più dure, nei rapporti con il Vaticano, significò la denuncia del concordato del 1927, il 17 luglio 1948. La rottura unilaterale delle relazioni diplomatiche con il Vaticano significò l’abolizione delle chiese cattoliche in Romania e la persecuzione dei fedeli. Mentre gli stranieri scappavano solo con le espulsioni, i cittadini romeni andavano ad ingrossare le file dei prigionieri politici. Madre Clara, con il suo nome laico Ecaterina Laszlo, entrò nel monastero all’età di 13 anni e fu condannata a 15 anni di prigione, di cui ne scontò 14. Nel 2003, raccontò al Centro di storia orale della radiodiffusione romena come aveva assistito, come amministratore dell’edificio della Nunziatura Apostolica di Bucarest, alla sua evacuazione subito dopo la decisione delle autorità romene di rompere i legami con la Santa Sede. “Sua Eccellenza O’Hara, il reggente del nunzio apostolico, è stato convocato al Ministero degli Esteri ed è stato informato che lui e i suoi collaboratori devono lasciare il Paese entro 48 ore, ma ha il diritto di affidare la custodia della Nunziatura Apostolica a un’ambasciata che lui può scegliere. Poiché l’ambasciata svizzera era neutrale, scelse questo paese. O’Hara fu accusato di spionaggio, cioè di essere una spia del Papa. E in 48 ore doveva lasciare il Paese. Ed era consuetudine, alla chiusura di un’ambasciata, organizzare un pranzo d’addio con gli altri ambasciatori che ancora esistevano nel paese. E la sera si organizzò questo incontro, e a mezzanotte, quando tutto fini’, tutto l’edificio fu sigillato, nel seminterrato rimase solo una porta per le suore, per noi che vivevamo lì, e nel cortile c’era una casa più piccola dove vivevano tre monaci. Siamo usciti con le candele accese davanti alla porta principale, da lì sono usciti tutti i diplomatici e lì è stata consegnata la chiave all’ambasciata svizzera.”
Inesistenti tra il 1948 e il 1989, i rapporti della Romania con il Vaticano furono ripristinati l’ultimo giorno del 1989, il 31 dicembre, nove giorni dopo la caduta della dittatura comunista, avvenuta il 22 dicembre. E si sono sviluppate, la prima visita di un papa in un Paese ortodosso è stata quella di 25 anni fa, nel 1999, quando Giovanni Paolo II arrivò in Romania.