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Corneliu Coposu, il signore della democrazia romena

Corneliu Coposu si è spento l11 novembre 1995 e quasi tutti i romeni se lo ricordano come un martire della democrazia e come un modello della sua rinascita dopo il 1989, dopo quasi mezzo secolo di regime comunista

Corneliu Coposu, il signore della democrazia romena
Corneliu Coposu, il signore della democrazia romena

, 20.11.2015, 21:18

Si dice che una delle cose più importanti nella vita di qualcuno sia leredità che lascia. Si tratta non solo dei beni materiali, ma soprattutto di quelli simbolici, di comportamento, dei consigli di vita lasciati ai posteri. Corneliu Coposu si è spento l11 novembre 1995 e quasi tutti i romeni se lo ricordano come un martire della democrazia e come un modello della sua rinascita dopo il 1989, dopo quasi mezzo secolo di regime comunista. Ha lasciato un enorme capitale simbolico di fede politica e religiosa, di integrità, austerità, resistenza fisica e psichica negli scontri disuguali col regime comunista, di fronte al quale troppe persone hanno ceduto e con il quale hanno anche collaborato. Il diavolo nella storia, come ha chiamato il filosofo polacco Leszek Kolakowski il regime del terrore, non ha lasciato stare Corneliu Coposu fino al 1989, anno del suo crollo. Ha cercato di allettarlo, di corrompere la sua anima e le sue convinzioni e di comprometterlo. Secondo le proprie testimonianze, confermate anche dai documenti scoperti nellarchivio dellex Securitate, dopo la liberazione dal carcere, Coposu è stato arrestato per brevi periodi ben 27 volte, la sua casa è stata perquisita decine di volte e gli sono stati confiscati più di 3000 documenti personali.



Corneliu Coposu è stato luomo intorno al quale, nel 1989, alcuni romeni, seguiti poi da molti altri, si sono impegnati sulla strada della ricostruzione del tessuto politico, sociale, culturale e mentale romeno, gravemente colpito dalle pratiche della tirannide comunista. Nei primi mesi del 1990, Coposu sembrava essere solo e respinto dalla maggioranza. Tuttavia nel 1995, lanno della sua morte, Coposu aveva dalla sua parte una percentuale significativa di cittadini romeni decisi a cambiare qualcosa. Nel cambiamento di atteggiamento dei romeni nei confronti di Coposu nel periodo 1990-1995, un ruolo speciale lha svolto lenorme sofferenza da lui subita. Dopo 17 anni e mezzo di carcere con regime di sterminio, dal 1947 al 1965, il Signore, come è stato soprannominato Coposu, ha confermato un antico detto: che la verità trionfa sempre. Però Corneliu Coposu non si è mai riferito a se stesso come a un esempio singolare da seguire. Lui ha sempre detto che il suo modello è stato quello di unintera generazione di romeni che, purtroppo, non sono sopravvissuti per raccontare gli orrori visti e patiti.



Nato il 20 maggio 1914 nella provincia di Sălaj nella famiglia di un prete greco-cattolico, Corneliu Coposu ha fatto lavvocato e si è addottorato in scienze giuridiche presso lUniversità di Cluj. E stato uno stretto collaboratore e segretario personale di Iuliu Maniu, il presidente del Partito Nazionale dei Contadini. Il 14 luglio 1947, Coposu fu arrestato, assieme a tutta la direzione del Partito Nazionale dei Contadini, in seguito ad una messinscena del governo comunista. Venne condannato ai lavori forzati a vita e rilasciato nel 1964. 9 dei 17 anni di prigionia li passò in completo isolamento e alla fine di quel periodo aveva quasi dimenticato a parlare.



Lincontro con una persona così speciale come Corneliu Coposu è un privilegio. Lesperienza esistenziale di maggior rilievo che ha potuto condividere è stato il carcere come universo chiuso, buio e repressivo che per lui è stato il penitenziario di Râmnicu Sărat:



Il carcere di Râmnicu Sărat aveva 34 celle di cui 16 disposte al pianterreno e 16 al primo piano. Ce nerano altre due ai lati, più 4 di punizione al sottosuolo. Ciascuna cella aveva le dimensioni di 3 metri per 2. Erano disposte a forma di favo, luna accanto allaltra, a 3 metri di altezza cera un finestrino inaccessibile di 45 per 30 centimetri, bloccata allesterno per non lasciar entrare la luce. Una lampada da 15 watt era sempre accesa e faceva una luce da tomba dentro. Non cera riscaldamento, il carcere risaliva allinizio del secolo, era stato costruito intorno allanno 1900 e aveva mura molto solide. Era circondato da 2 file di mura alte 5-6 metri con in mezzo una specie di corridoio. Sul secondo muro cerano soldati armati che sorvegliavano il penitenziario. – dichiarava Coposu.



Il regime totalitario non si riferiva alle persone con nome e cognome, ma con dei numeri. Nel 1993 Corneliu Coposu ricordava la vita in carcere:



Ciascun detenuto aveva un numero che rappresentava il numero della cella, nessuno aveva nome e cognome, i nostri nomi erano sconosciuti. Ci identificavano per il numero della cella in cui eravano rinchiusi. Siccome ognuno di noi stava da solo nella cella era esclusa qualsiasi conversazione e per un lungo periodo la comunicazione con gli altri avveniva tramite segnali Morse, fino a quando le guardie lhanno scoperto e ci hanno puniti severamente. Dopo, abbiamo cominciato a comunicare tramite la tosse Morse, che era però molto faticosa, soprattutto a causa dello stato di debolezza di tutti i detenuti. Io stavo nella cella numero 1 e sopra la mia, cera la cella numero 32, occupata da Ion Mihalache che inizialmente poteva essere contattato tramite segnali Morse ma, dopo 4-5 anni, non sentiva e non reagiva più.



Molte volte a Coposu è stato chiesto se nel caso potesse tornare indietro nel tempo cambierebbe qualcosa nel suo stile di vita. Ha sempre risposto negativamente. Nel 1993 testimoniava: ho fatto unesame di coscienza, ho passato in rassegna tutte le sofferenze, le miserie subite in carceri, negli anni di prigione, durante le persecuzioni degli anni dopo la liberazione e secondo me non avrei altra scelta. Opterei, ad occhi chiusi, per lo stesso destino. Forse i nostri destini sono stati già scritti prima. Non sono fatalista, ma se mi si presentassero alternative, ciò che sceglierei sarebbe lo stesso passato che ho vissuto e che ripeterei con serenità. (traduzione di Gabriela Petre)


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