Contenimento di pandemie nell’Ottocento romeno
Le epidemie sono state una presenza costante nella storia dell'umanità e gli uomini hanno cercato di combatterle con tutti i mezzi.
Steliu Lambru, 26.10.2020, 12:29
Le epidemie sono state una presenza costante nella storia dell’umanità, e gli uomini hanno cercato di combatterle con tutti i mezzi. Non solo ai nostri giorni, ma anche nel passato i metodi per combattere le malattie hanno circolato da una comunità all’altra. Gli uomini hanno imparato gli uni dagli altri come possono guarire, la solidarietà ha superato i confini culturali e politici, nonchè l’odio nazionale, religioso e razziale. Nel 19esimo secolo, sul territorio romeno, la quarantena, le medicine e l’implicazione delle autorità tramite misure sanitarie dure hanno portato al contenimento o allo sradicamento delle epidemie. All’inizio del secolo dell’industrializzazione del mondo, la Romania era colpita dalla peste nera che fu soprattutto una malattia urbana. Le misure adottate allora dalle autorità possono essere considerate ai nostri giorni repressive, ma esse portarono a un risultato positivo. Lo storico Sorin Grigoruţă dell’Istituto di Storia A. D. Xenopol di Iaşi, è autore di un volume dedicato alla peste nera e ai metodi di guarigione.
Consapevoli che gli agglomerati urbani non fanno altro che aumentare il rischio di diffusione del flagello, le autorità hanno preso misure severe per limitare il contatto interumano. È stata sospesa l’attività dei tribunali, sono state chiuse le scuole, le chiese, i caffè, è stata ridotta l’attività commerciale, e sono scattate restrizioni alla circolazione, soprattutto di notte. Intorno al 1785, il principe ordinava la chiusura dei caffè, ma il caffè poteva essere venduto al finestrino. Per quanto riguarda le restrizioni alla circolazione, scattavano di notte perchè allora venivano trasportati malati e i morti fuori città. Non era un’immagine piacevole e si tentava anche di diminuire l’effetto emozionale che avrebbe potuto avere sul resto della popolazione, ci ha detto Sorin Grigoruţă.
Una seconda misura contro la peste è stato il confinamento. Il confinamento delle famiglie colpite dalla peste era la seconda misura presa dalle autorità. La prima forma di confinamento era il divieto di uscire nei confronti dei malati, venivano effettivamente chiusi nelle case. Questo metodo non fu applicato solo nei Principati Romeni, bensì nell’intera Europa. Se c’erano persone che sopravvivevano nella rispettiva abitazione, bene, sennò, tutti si ammalavano e morivano. La seconda forma di confinamento era la rimozione dei malati e dei sani dalle case infette, che venivano ulteriormente sottoposte a una disinfezione. Questa poteva significare arieggiare l’abitazione e lavarla, ma si poteva andare fino alla sua distruzione totale o parziale, l’agente purificatore essendo il più delle volte il fuoco, ha spiegato Sorin Grigoruţă.
Ma il più efficiente metodo per combattere la peste fu la quarantena. La prima quarantena europea fu introdotta dalla città-porto di Ragusa, l’attuale Dubrovnik, i cui governanti costringevano qualsiasi nave che veniva dall’Oriente a restare lontano dalla città per 40 giorni. L’idea fu presa anche da altri porti e città europee. Sulla terraferma, il cordone sanitario austriaco fu estremamente efficiente, organizzato lungo le frontiere militari.
Senza prendere di mira consapevolmente il vettore di diffusione della peste, gradualmente, tutte le misure che prevedevano il confinamento dei malati o dei sospetti di contagio davano alcuni risultati. Di conseguenza, il passo successivo fu la verifica e il confinamento per qualche giorno di quelli che arrivavano dalle zone colpite dalla peste nera, del Paese o fuori dal Paese. In concomitanza si sviluppò anche un sistema di lettere o biglietti di salute volti a certificare che il viaggiatore proveniva da zone non colpite dalla peste. Fu così che apparsero le quarantene interne e quelle esterne. Menzionati nei documenti interni anche col nome di lazzaretti, questi luogjhi di confinamento erano allestiti ad hoc nei principali punti d’ingresso nelle grandi città o nei villaggi, ci ha raccontato Sorin Grigoruţă.
Lo storico Delia Bălăican della Biblioteca dell’Accademia Romena ha studiato l’epidemia di febbre tifoide scoppiata durante la Prima Guerra Mondiale e ci racconta quali sono state le misure eccezionali prese dalle autorità. A un’equipe di 150 ingegneri fu affidato il compito di costruire baracche per il confinamento delle persone malate al fine di separarle da quelle sane. Le baracche erano di legno, erano ospedali da campo in cui erano ricoverati obbligatoriamente militari e civili, a prescindere dall’età e dal genere. La popolazione rurale abitava ancora in casupole prive di corrente elettrica e l’aerazione erà praticamente impossibile, mentre l’umidità favoriva la malattia. Ne furono rimossi i malati, si passò a misure drastiche di igienizzazione e allo spidocchiamento dei malati due volte alla settimana, all’igiene personale, dei vestiti e degli oggetti intimi. Ciò che non veniva bruciato, veniva messo nel forno per la disinfezione. Se non potevano essere messi nel forno, gli oggetti erano introdotto in petrolio o aceto, ha precisato Delia Bălăican.
Il docente Călin Cotoi spiega che l’introduzione della quarantena durante l’epidemia di colera nei Principati Romeni negli anni 1830 significò l’aumento dell’autorità dello stato. Lo stato romeno introdusse quarantene sul fiume Prut, ma sopratttuto sul Danubio. Questa volta le quarantene furono molto severe, ma, una volta introdotte, esse entrarono in crisi. Lo stato romeno dipendeva sempre di più dal commercio con cereali, che assicurava la sua fonte di finanziamento e di sussistenza, e questo commercio fu messo in pericolo da una quarantena troppo dura. Cosicchè c’era sempre una tensione tra la libertà del commercio e il pericolo del colera, ha precisato Călin Cotoi.
Le misure di contenimento delle epidemie, anche se impopolari, hanno salvato l’umanità in tempi di crisi sanitaria. E la responsabilità per il bene comune richiede spesso fermezza.