Bucarest interbellica e la sua architettura
A partire dalla seconda metà dell'Ottocento, lo sviluppo urbanistico di Bucarest conobbe diverse tappe.
Steliu Lambru, 04.04.2018, 12:35
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, lo sviluppo urbanistico di Bucarest conobbe diverse tappe. Però, quando si parla di Bucarest, si pensa complessivamente alla Romania, poichè una capitale non si sviluppa mai da sola. Bucarest riassunse tutto quanto significò sviluppo urbanistico in Romania, con influssi dall’architettura occidentale, sinonimo della modernità, ma anche dall’architettura tradizionale romena. Nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, ai tempi di Re Carlo II, tra il 1930 e il 1940, avvenne la più importante trasformazione di Bucarest.
Il prof. Sorin Vasilescu dell’Università di Architettura e Urbanistica Ion Mincu di Bucarest, presenta l’architettura interbellica della capitale come una che gravitò attorno ai sovrani di Romania. Se parliamo dell’architettura interbellica romena, evidentemente facciamo riferimento esclusivamente all’architettura della regalità. A Bucarest parliamo di una fase Carlo I, che corrisponde al regno di Ferdinando I, e dell’incredibile tappa di Carlo II, il quale sognava mentre diceva all’allora sindaco che voleva vedere il mare. Un’idea interessante: dal Palazzo Reale, con l’immagine otturata dall’edificio delle Fondazioni Reali, che contemplava scomparse, lui voleva avere una vista fino al gran viale. L’operazione che portò all’odierna immagine della Piazza del Palazzo avvenne sotto il suo regno. E, infatti, fu il sovrano ad averla trasformata completamente. Le Fondazioni Reali, oggi sede della Biblioteca Centrale Universitaria, erano fiancheggiate a destra e a sinistra da due edifici importanti. Uno ospitava il Jockey Club Romeno, mentre il Ministero dell’Interno, sede del Comitato Centrale del Partito comunista sotto il regime, si trovava dietro un edificio, praticamente in un’altra piazza, allargandosi e diventando, come qualsiasi opera architettonica lodevole e discutibile, una delle meraviglie dell’art nouveau di Bucarest, opera di Daniel Renard e Téophile Bradeau, precisamente l’albergo Athénée Palace, spiega il prof. Sorin Vasilescu.
Decisamente fu l’art nouveau la più influente corrente artistica nell’architettura di Bucarest. Però ci fu anche la cosiddetta arte di Stato, quella fascista italiana, e, verso la fine degli anni 1920 e negli anni 1930, l’art déco. Sorin Vasilescu sottolinea che fu lo stile Liberty ad aver portato il modernismo nell’architettura romena. Da noi, quell’art nouveau brillante fu di vari tipi: un’art nouveau francese, opera di architetti francesi, un’art nouveau francese, opera di architetti romeni, e infine uno stile Liberty transilvano per mano degli architetti ungheresi appartenenti alla scuola di Ödön Lechner, proveniente, a sua volta, dalla Secessione viennese. Quindi, le fonti di ispirazioni in Romania furono numerose. Per il Vecchio Regno, il momento di passaggio da un mondo all’altro, il taglio del cordone ombelicale tra modernità e storicismo è rappresentato dall’art nouveau. Non a caso, lo storico d’arte italiano Giulio Carlo Argan diceva che la prima forma della modernità fu proprio lo stile Liberty. Quello nostro, sia che lo chiamiamo proto-art nouveau, come sarebbe quello neoromeno, sia che lo chiamiamo Secessione, con il mondo della Transilvania, del Banato e della Bucovina, sostanzialmente diciamo la stessa cosa. E’ il primo momento in cui ci siamo aggiornati, tramite un’architettura che non era inferiore o tributaria a quanto si faceva nell’Occidente, aggiunge il prof. Vasilescu.
Gli influssi tradizionali non furono meno importanti nell’apparizione di uno stile romeno moderno nell’architettura di Bucarest. E fu denominato stile neoromeno. La proto-art nouveau nostra: il nome di Mincu è molto legato ad essa ed è, dal punto di vista delle invarianze e degli elementi stilistici, una corrente che si è espressa attraverso forme fondamentali nella storia della nostra architettura. Non significa che noi abbiamo mai influenzato il mondo architettonico occidentale, però assolutamente, grazie al fiuto di una specie di cani da caccia, i nostri architetti sono riusciti a capire la realtà del momento, il processo del divenire stilistico, cosa succedeva nell’architettura e il modo in cui gli elementi della tradizione potevano essere tradotti in un linguaggio diverso. Se la tradizione venisse misurata in litri, allora la modernità sarebbe da misurare in metri. Ci troviamo davanti a unità di misura diverse, nell’impossibilità di armonizzarsi completamente le une con le altre. Però il tentativo dei nostri architetti di trovare un’identità è un elemento che pulsava sin dai tempi del principe Constantin Brancoveanu. Non a caso, i valori dello stile neoromeno riprendono, lavorano, trasformano e cambiano la scala per più motivi. La scala dei grandi elementi raffinati dell’epoca di Brancoveanu riveste alcuni valori orientali nella planimetria e nel principio compositivo occidentale. E’ questa la fonte della prima forma di modernismo romeno. Dobbiamo solo passeggiare per Bucarest e vedere le opere in stile neoromeno di Petre Antonescu. Impressionanti e criticate, allo stesso tempo, poichè cambiavano la scala dei valori tradizionali. Però in pochi pensavano che questo cambiamento di scala nelle costruzioni di Petre Antonescu era dovuto anche al fatto che la scala della Romania era a sua volta cambiata, dal semplice al doppio, esattamente 100 anni fa. Un Comune per 8 milioni di abitanti aveva certe dimensioni, però uno per 18 milioni, quanti contava la Romania un secolo fa, dopo l’Unità, indica tutt’un’altra dimensione, conclude il prof. Sorin Vasilescu.
L’architettura di Bucarest interbellica ha raggiunto l’apice della connessione con la circolazione delle idee con l’Occidente e l’innovazione. Nonostante le trasformazioni più o meno felici avvenute dopo il 1945, l’impronta della capitale romena rimase quella lasciata dagli architetti dei tempi della monarchia.