Paese più ricco, gente più povera
Il rischio di povertà o di esclusione sociale rappresenta la situazione di una famiglia che affronta almeno uno dei tre rischi associati: reddito inferiore alla soglia di povertà (che, nel 2023, era di 1619 lei al mese – circa 325 euro a persona), deprivazione materiale e sociale e bassi livelli di lavoro (quando gli adulti lavorano meno del 20% del loro potenziale annuo).
Iulia Hau, 23.01.2025, 18:56
Il rischio di povertà o di esclusione sociale rappresenta la situazione di una famiglia che affronta almeno uno dei tre rischi associati: reddito inferiore alla soglia di povertà (che, nel 2023, era di 1619 lei al mese – circa 325 euro a persona), deprivazione materiale e sociale e bassi livelli di lavoro (quando gli adulti lavorano meno del 20% del loro potenziale annuo). Secondo le statistiche Eurostat del 2023, gli abitanti della Romania erano al primo posto per quanto riguarda questo rischio (32%), seguiti da quelli di Bulgaria (30%), Spagna (26,5%) e Grecia (26,1%).
Inoltre, secondo uno studio condotto dall’organizzazione « Salvate i Bambini », quasi un bambino romeno su due (41,5%) è colpito dalla povertà ed è a rischio di esclusione sociale, quasi il doppio della media europea. Anche altri dati forniti da Eurostat mostrano che in Romania, più che in qualsiasi altro paese dell’UE, la povertà è ereditaria. Solo il 4% dei romeni che crescono in famiglie con un basso livello di istruzione proseguono gli studi universitari. Solo in Bulgaria questa percentuale è più bassa (3,9%) mentre gli spagnoli, i portoghesi e i greci hanno le maggiori possibilità di progresso generazionale e di conseguimento di un titolo universitario provenendo da famiglie senza istruzione superiore: rispettivamente il 49,8%, 37,6% e 34,5%.
Perché un terzo dei romeni vive sulla soglia di povertà se, nel 2023, il Prodotto Interno Lordo del Paese è aumentato del 2,4% rispetto al 2022 e se siamo tra gli europei che trascorrono il maggior numero di ore settimanali al lavoro, 39,7 ore, rispetto a una media europea di 36,4 ore? Andrei Țăranu, politologo e professore universitario presso la Scuola Nazionale di Studi Politici e Amministrativi, a Bucarest, spiega questo divario: «Nel nostro Paese la crescita economica è stata fatta nonostante e contro tutte le politiche sociali. Inoltre, è stata la vostra generazione che, nel 2017, era contro l’assistenza sociale, contro gli “sdentati”, desiderando un tipo di generazione che fosse completamente purificata da quelli provenienti dalle campagne, dalle piccole città, da tutto ciò che significava il passato comunista della Romania – e soprattutto i pensionati. C’è un’immagine terribile a Iași (nord-est della Romania), da dove tra l’altro provengo, dove alcuni giovani lanciavano banconote da 1 leu contro un anziano affinché (lui) raccogliesse i soldi. Penso che quello sia il momento più terribile.”
Andrei Țăranu spiega che la generazione problematica a cui fa riferimento sono i romeni nati dopo il 1990, addirittura dopo il 1985, l’inizio dei Millenials. Una generazione che, secondo l’esperto, vive in una bolla economica e sociale nelle grandi città, che dimentica che esiste un’altra parte della Romania e che vuole rompere ogni legame con il passato, senza capirne nulla. Il politologo definisce questa generazione come quella del nuovo capitalismo, “ostacolata” dall’esistenza dell’altra generazione, che proviene dal periodo di transizione dalla fine del comunismo e che ha altri comportamenti di consumo e stili di vita: « Tutte le politiche pubbliche realizzate in Romania dopo il 2004 sono state realizzate esclusivamente con l’idea dello sviluppo economico. Sono stati dati soldi per le microimprese, per le PMI, per le start-up. Oggi si investono ingenti somme nelle autostrade, ma si dimenticano l’assistenza sociale e buona parte delle classi sociali vulnerabili. E quelli che vengono fatti emergere, ad esempio gli anziani dei vari villaggi, vengono fatti emergere piuttosto per ragioni elettorali, contro i governanti che si dimenticano dei nostri antenati, gli ultimi custodi della tradizione».
Alla domanda su quali sarebbero le soluzioni per correggere questi squilibri sociali ed economici, l’esperto non è troppo ottimista. “Ovviamente le soluzioni sono politiche, non possono che essere politiche. E ciò richiederebbe una massa critica che comprenda i gruppi sociali e generazionali. Non penso che sarà possibile. Buona parte di questi rimasti indietro, che svolgono lavori precari, senza istruzione o solo con istruzione secondaria, che lavorano nel campo dell’edilizia o in altri settori precari, compreso quello statale – che una parte di loro sono, ad esempio, spazzini (anche loro sono considerati dipendenti statali, di cui dobbiamo sbarazzarci)… tutta questa categoria è scesa oggi in piazza e sostiene tutti questi movimenti radicali-fascisti. Ovviamente le altre categorie socio-generazionali non tenderanno loro la mano, proprio perché li considerano nemici, “quelli che vogliono portarci fuori dall’Ue, dalla Nato, quelli che vogliono far saltare in aria la Romania…”. Queste persone non vogliono far saltare in aria la Romania, ma semplicemente non possono più viverci».
L’esperto ritiene che il 2004 sia stato un momento decisivo che ha diviso ulteriormente le diverse categorie sociali e che gran parte della responsabilità sia dei media. Sostiene che, nella corsa al sensazionalismo, i media omettono di presentare il contesto più ampio in cui si verificano tragedie, casi di deviazione comportamentale e situazioni di criminalità, il più delle volte associati ad aree ad alto rischio di povertà ed esclusione sociale. Queste cosiddette “sacche di povertà”, sfruttate dai media, sono quelle zone del Paese e categorie dimenticate della popolazione, per le quali non vengono prese misure per la riduzione dei divari rispetto alla popolazione privilegiata delle grandi città.