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La tratta di minorenni e la violenza di genere

Secondo la CE, tra il 2015 e il 2016, più della metà della tratta di persone nell'Ue ha avuto come scopo lo sfruttamento sessuale, che resta il più diffuso tipo di tratta. Le donne e le ragazze hanno rappresentato oltre due terzi delle vittime.

La tratta di minorenni e la violenza di genere
La tratta di minorenni e la violenza di genere

, 07.04.2020, 20:35

Secondo la Commissione
Europea, tra il 2015 e il 2016, più della metà (il 56%) della tratta di persone
nell’Ue ha avuto come scopo lo sfruttamento sessuale, che resta il più
diffuso tipo di tratta. In questo contesto, come probabilmente c’era
d’aspettarsi, le donne e le ragazze hanno rappresentato oltre due terzi (il 68%)
delle vittime registrate. La percentuale salirebbe al 77% se prendessimo in
considerazione anche i dati statistici riguardanti la Gran Bretagna che, nel
frattempo, ha lasciato l’Ue. I primi 5 Paesi europei di provenienza delle
vittime sono stati Romania, Ungheria, i Paesi Bassi, Polonia e Bulgaria. La
situazione non sembra essere cambiata molto finora, la Romania essendo anche
nel 2018 uno dei Paesi-fonte della tratta di esseri umani in Europa, secondo
l’Agenzia Nazionale contro la tratta di Persone, con circa la metà del numero
totale delle vittime minorenni, ossia bambine. Alcune di queste bambine che
riescono a scappare da questo tipo di schiavitù contemporanea sono prese in
carico dall’attivista Iana
Matei,che ha aperto aPitești,
20 anni fa, un rifugio per la tutela e la reintegrazione nella società delle
vittime della tratta. Nel frattempo, l’ong non-governativa creata da lei, Reaching
Out Romania, ha aiutato oltre 600 vittime dello sfruttamento sessuale a rifarsi
una vita, come racconta Iana Matei. Abbiamo iniziato con un appartamento
preso in affitto, poi il numero delle ragazze è cresciuto. Credo che nel 2000
sia stato raggiunto l’apice. Ulteriormente, abbiamo
costruito un centro per loro, e l’anno scorso, abbiamo costruito un altro
centro con 6 posti perchè non facevamo più fronte. In tutto, nei due centri ci
sono 18 posti, e, attualmente, noi ospitiamo 12 ragazze. Il secondo centro,
quello di transito come lo chiamiamo noi, che abbiamo iniziato a costruire
l’anno scorso, non è ancora pronto. E abbiamo posti anche in una fattoria di lavanda
di Craiova, perchè noi abbiamo creato un’alternativa per le ragazze che non
vogliono continuare i loro studi. La maggioranza provengono dalle zone rurali e
presso la nostra fattoria di lavanda insegniamo loro come sviluppare il proprio
affare. Le ragazze che si trovano attualmente nel nostro centro hanno tra i 12
e i 14 anni e dal mio punto di vista dovremmo parlare di pedofilia, anzichè di
tratta di persone. Non è violenza sulle donne, è violenza contro i bambini. Se
presso la fattoria di lavanda queste ragazze hanno l’occasione di acquisire
abilità necessarie per trovare un posto di lavoro oppure una modalità di auto-sostentamento
diversa dalla prostituzione, nel centro di accoglienza messo a disposizione
dall’organizzazione di Iana Matei viene fornita anche consulenza psicologica. I
traumi delle vittime della schiavitù sessuale sono specifici, difficili da
superare, e si nutrono delle esperienze precedenti lo sfruttamento, ha
spiegato Iana Matei.




Molte volte loro hanno una bassa autostima a causa delle privazioni
affettive in famiglia. Questi problemi pre-esistenti sono sfruttati dai trafficanti,
come emerge dal fenomeno del metodo lover-boy, una delle più efficienti
modalità di reclutamento e manipolazione psicologica ai fini della tratta. Con
questo metodo, il trafficante prima seduce le ragazze e poi, sfruttando i loro
sentimenti di amore, le obbliga a prostituirsi a suo beneficio. Iana Matei ci
parla dei traumi di prima e di dopo il periodo di sfruttamento delle ragazze.
Tramite il metodo di reclutamento loverboy,
l’identità della bambina è, in realtà, assediata e attaccata interamente. Si
accentua la bassa autostima di queste bambine. Si tratta di bambine che non
sanno cosa voglia dire l’amore e, perciò, sono facili da reclutare. Purtroppo,
diventano dipendenti dal sesso. Se iniziano la vita sessuale a 11 o 12 anni e
hanno 10/15 clienti al giorno, appare un certo tipo di dipendenza di cui
nessuno parla. Inoltre, tutte queste bambine sono stigmatizzate. In questo
contesto, per molti è facile giudicarle e stigmatizzarle come se fossero
colpevoli per ciò che succede loro. I primi tre mesi sono estremamente
difficili perchè tutto ciò che vogliono fare è tornare nell’ambiente dal quale
sono scappate via. Le istituzioni dello stato non ci aiutano molto in questo
senso. Ad esempio, per legge, qualsiasi bambino deve andare a scuola. Solo che
le ragazze che sono state vittime della schiavitù sessuale non possono tornare
molto presto a scuola, ha precisato Iana Matei.




Perciò, occorre un approccio
integrato alla tratta di persone. I Ministeri dell’Istruzione e della Salute,
il Ministero dell’Interno, il Ministero della Giustizia e le direzioni di
contrasto della criminalità organizzata dovrebbero lavorare insieme. E tutti
dovrebbero collaborare con le ong che conoscono benissimo la situazione e le
esigenze concrete, capitolo cui non si sta molto bene attualmente, ritiene Iana
Matei. Inoltre, nella mente collettiva delle comunità rurali di provenienza
della maggioranza di queste ragazze, incolpare la vittima è un luogo comune, e
lo sfruttamento sessuale non è pienamente capito come quello che è: un tipo di
violenza di genere, contro le donne. Il più delle volte, questa propensione a
incolpare la vittima viene riscontrata anche nel caso delle vittime di un altro
fammigerato fenomeno che colpisce le donne: la violenza domestica. Elena
Samoilă, coordonatrice programma presso il Centro FILIA, associazione che
milita per i diritti delle donne, ci descrive questa mentalità. L’incolpazione
della vittima a livello della società è abbastanza frequente. Molte volte, alla
vittima è addossata la colpa anche per il fatto che sceglie di restare in una
relazione abusiva oppure, se la vittima subisce violenze, all’aggressore
vengono trovate, a volte, delle scuse. La donna deve aver fatto qualcosa, si
dice. A conclusione, viviamo in una società in cui alle donne viene data la
colpa perchè avrebbero provocato le violenze che loro stesse subiscono. E agli
uomini, che il più delle volte sono aggressori, viene giustificato questo
comportamento, ha detto Elena Samoilă.




Inoltre, gli esperti già ammoniscono che, attualmente, il numero dei casi
di violenza domestica è cresciuto nell’intero mondo, in quanto molte donne sono
costrette dalle circostanze a restare bloccate nella stessa abitazione con i
partner aggressivi.



(foto: Anqa / pixabay.com)
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