Il lavoro all’estero e gli orfani bianchi
Da oltre 20 anni, da quando in Romania è decollato il fenomeno dell'emigrazione per lavoro, si è manifestato anche uno dei suoi effetti più drammatici: gli orfani bianchi.
Christine Leșcu, 27.06.2023, 17:13
Da oltre 20 anni, da quando in Romania è decollato il fenomeno dellemigrazione per lavoro, si è manifestato anche uno dei suoi effetti più drammatici: gli orfani bianchi, ossia i bambini lasciati nel Paese di origine con i nonni o altri parenti. Molti genitori, quando partono per vari lavori nellUE, portano con sé i figli, ma non sono pochi i casi di famiglie divise in seguito al trasferimento per lavoro dei genitori allestero. E lorganizzazione “Save the Children” ha richiamato lattenzione su questa situazione da molti anni, ora esaminata anche in uno studio statistico. Condotta a partire dai dati raccolti tra luglio e settembre 2022, la ricerca rivela che quasi un quarto dei ragazzi che oggi hanno unetà compresa tra 0 e 17 anni ha avuto o ha un genitore che è andato a lavorare allestero fino alla data della ricerca. Il 61,5% di questi bambini ha o ha avuto solo il padre allestero, il 20,4% solo la madre, mentre il 18,1% entrambi i genitori. E attualmente, oltre 500.000 bambini si trovano in questa situazione, la maggior parte fin dalla tenera età. In media, la madre parte dopo che il bambino compie 6 anni, essendo il padre, di norma, colui che parte quando il bambino è più giovane. Per quanto riguarda la decisione di partire, lo studio mostra che i bambini vengono consultati anche se sono ancora piccoli. Anca Stamin, rappresentante dellorganizzazione “Save the Children”, spiega.
“L83% degli adulti intervistati ha dichiarato che anche il bambino è stato coinvolto nella decisione del genitore di partire. Al contrario, i bambini hanno riferito di essere coinvolti a un tasso significativamente inferiore, del 62% e tendiamo a credere a ciò che dicono i bambini. Inoltre, quasi un terzo dei bambini interpellati, cioè il 31%, afferma di non essere daccordo con la partenza del genitore, anche se consultati. Inoltre, lo studio ha evidenziato anche quanto dicevo prima, ovvero che la maggior parte dei bambini in questa situazione non sono registrati presso i servizi di assistenza sociale. In pratica, solo il 39% dei familiari ha dichiarato che il servizio di assistenza sociale conosce la situazione del bambino. Allo stesso tempo, in termini di informazione alle scuole, il 57% dei genitori ha dichiarato di aver informato la scuola di questa situazione. È evidente che nessuna delle due istituzioni dispone dellinformazione completa, quindi cè una riluttanza da parte di genitori o parenti a dichiarare la partenza dei genitori, alla scuola o alle autorità.”
Il fatto che non tutti i genitori dichiarino alle autorità la situazione dei figli rimasti nel Paese rende difficile per loro o per le organizzazioni non governative intervenire in caso di problemi. E lo studio realizzato da “Save the Children” evidenzia proprio i rischi aggiuntivi a cui sono esposti i bambini lasciati dietro dai genitori che si sono recati allestero per lavoro. “È stata rilevata una differenza molto ampia tra bambini provenienti da famiglie con migranti e bambini provenienti da famiglie senza migranti, nel caso di comportamenti a rischio. Nel primo caso, cè una probabilità del 38% di essere esposti a scene esplicite di sessualità e pornografia nellambiente online, e allo stesso tempo una probabilità doppia di avere comportamenti aggressivi con altri bambini e di consumare alcol. Allo stesso modo, una probabilità molto più alta di usare sostanze illecite o fumare. Tutto ciò appare nel contesto della mancanza di controllo parentale, del facile accesso ai dispositivi, della mancanza di comunicazione con i genitori o con le persone cui sono stati affidati, ma anche della mancanza di educazione sanitaria, daltra parte. E questi comportamenti aggressivi possono manifestarsi come una forma di esternalizzazione dei sentimenti negativi, delle esperienze emotive che il bambino prova dopo la partenza dei genitori. Nella nostra esperienza di lavoro con bambini di questa categoria, abbiamo spesso incontrato bambini che si sentono abbandonati o si sentono in colpa per la partenza dei genitori. Anche se il genitore aveva buone intenzioni, era sbagliato dire al figlio che partiva per il suo bene, perché poneva un maggiore fardello sulle spalle del figlio.”
Per preservare il legame familiare, la comunicazione è molto importante e, inoltre, la rivoluzione digitale di oggi rende la situazione molto più semplice. Ad esempio, la maggior parte dei genitori emigrati per lavoro comunica con i propri figli attraverso piattaforme video online e solo il 19% esclusivamente per telefono. Inoltre il 45% comunica una volta al giorno, ci sono anche famiglie, circa il 15%, che comunicano più volte al giorno. Purtroppo ci sono anche situazioni in cui la comunicazione è più rara: il 33% comunica una volta ogni due o tre giorni e il 7% una volta alla settimana. Inoltre, il 20% degli adolescenti che hanno un genitore che lavora allestero parla con loro una volta alla settimana o meno. Andreea Penescu ha 12 anni e frequenta la prima media. Ecco come comunica con suo padre, che è andato a lavorare in Svizzera da quando lei aveva 2 anni. “Per telefono, tramite messaggi. Se ha ancora ferie e ne ha lopportunità, torna a casa, anche se ci vediamo raramente, ma molto spesso comunichiamo telefonicamente e tramite messaggi. Non è una relazione molto calorosa, nè posso definirla una relazione molto fredda. Voglio dire, restiamo in contatto. Va tutto bene, ma voglio dire che sono molto più vicina a mia madre.”
Inoltre, Andreea dice di non aver mai visitato suo padre in Svizzera, solo questestate cè stata la possibilità di trascorrere due settimane insieme lì. Per quanto riguarda il motivo della sua partenza, la ragazza afferma che il miglioramento della situazione economica della famiglia ha portato il padre a lavorare allestero. Tuttavia, sebbene la situazione materiale sia ora migliore e abbia preferito che la famiglia non fosse stata separata in questo modo, la ragazza respinge lidea di stabilirsi in Svizzera. “Non è che non ci sia possibilità. È solo che non voglio e penso che nemmeno mia madre lo farebbe, perché qui abbiamo le nostre vite costruite passo dopo passo, qui in Romania. Ho i miei amici, mi sono già adattata a scuola. Mia madre ha amici al lavoro, colleghi e so che sarebbe abbastanza difficile ricominciare da capo con una nuova lingua, una nuova vita, un diverso stile di vita”, ci ha raccontato Andreea.
Sebbene Andreea sembri riconciliata con la situazione attuale e studi bene, la ricerca di “Save the Children” indica che la migrazione di uno dei genitori comporta una probabilità del 62% che i bambini non facciano progressi nei primi anni di scuola.