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Un treno per un’altra vita

Un ampio servizio sui profughi ucraini alla Stazione Nord di Bucarest.

Un treno per un’altra vita
Un treno per un’altra vita

, 23.03.2022, 11:11

Una domenica di marzo. Alla Stazione Nord di Bucarest, l’orologio indica le 11.30. La Sala d’attesa nr.2 è piena di gente, pari alle altre. Dappertutto viaggiatori, perlopiù donne e bambini, seduti o in piedi, aspettando con i bagagli accanto. Solo che, questa volta, nessuno va in vacanza e tanto meno aspetta un treno per tornare a casa. Sono tutti ucraini in fuga dalla guerra. Avviata il 24 febbraio, alle 5 del mattino, l’invasione russa in Ucraina ha provocato un’ondata di oltre tre milioni di profughi, di cui oltre 500.000 sono arrivati in Romania. Sono andata a conoscerli alla Stazione Nord. Prima di partire, Odessa era relativamente tranquilla, ma negli ultimi giorni antecedenti alla partenza, visto che la città è in prossimità di unità militari ed anche in riva al mare, si sentivano delle sparatorie e l’esercito ucraino tentava di abbattere i missili puntati contro la città. Ogni giorno suonavano le sirene, affinchè la gente di nascondesse. Purtroppo, io abito in un quartiere con condomini alti, senza ripari. L’unico posto in cui potevamo nasconderci era in un angolo, tra due pareti. Cosicchè la famiglia ha insistito che io vada via insieme alle figlie, quanto tempo era ancora possibile, racconta Tonia.

Arrivata a Bucarest, è andata in un albergo, ma, siccome dopo pochi giorni i soldi sono finiti, è stata costretta a prendere le figlie e la valigia e venire a chiedere assistenza alla Stazione Nord. Qui ha incontrato la volontaria Ilinca Ștefănescu, presidente dell’Associazione AREFU, creata alla memoria dei suoi antenati tra cui si annoverano personalità di spicco della vita culturale e artistica di Romania. Ilinca ha deciso di mobilitare tutta la sua energia per aiutare i profughi dall’Ucraina, lanciando la campagna Migliori insieme. Una sera, stavo guardando tranquillamente un film su Netflix insieme al marito, e seguivo su facebook il gruppo Uniti per l’Ucraina. Tutto il giorno avevo seguito gli annunci ed ero rimasta estremamente impressionata. In serata, qualcuno ha scritto che alla Stazione Nord erano finiti i panini e i profughi non avevano più cosa mangiare. E allora ho detto a mio marito: io vado alla Stazione a portare cibo. Siamo saliti entrambi in macchina, siamo venuti qui, abbiamo comprato dei panini e da quel giorno – a breve saranno due settimane, credo – sono qui. Mi aiuta anche mio marito, fa la spesa, accompagna i rifugiati in albergo, e ora aspetto che mi porti le cose di prima necessità per i bebè, spiega Ilinca.

La maggioranza delle persone in fuga dalla guerra sono donne con bambini. Nonostante tutti gli sforzi dei volontari di allestire nelle sale d’attesa piccole aree gioco, nel tentativo di fare i piccoli sorridere di nuovo, i segni dello stress post-traumatico sono evidenti, afferma Raluca Petru, psicologa volontaria. La maggior parte delle mamme rifugiate deplora il fatto che i piccoli non riescono ad uscire, il che è un sintomo classico dello stress. Ho incontrato una mamma che aveva quattro figli in età comprese tra due settimane e sette anni, tutti affetti dalla stitichezza. E’ uno dei primi sintomi psicosomatici che ho scoperto nei bambini che ho incontrato, spiega la psicologa.

Infatti, è uno dei primi segni, ma non anche l’unico, indica il medico di base Mara Lazăr, giunta anche lei a dare una mano alla Stazione Nord. In seguito ai numerosi appelli lanciati dai volontari sul gruppo facebook Uniti per l’Ucraina, gli abitanti della Capitale hanno fatto a gara nel donare medicinali senza obbligo di prescrizione medica. In questo modo, è stato possibile organizzare un piccolo punto farmaceutico nella Sala d’attesa nr. 2, gestito dalla Croce Rossa e da medici volontari come Mara Lazăr che, da oltre una settimana, tenta di alleviare i dolori dei rifugiati. Ci sono dei problemi soprattutto con i bambini – raffreddori, mal di gola, ma anche con le donne anziane affette da malattie cardiovascolari o pressione alta. Ma abbiamo incontrato anche delle persone con problemi di diabete, alle quali, purtroppo, non possiamo dare noi l’insulina. E per di più sono anche molto stressati e necessitano di calmanti, spiega il medico.

Come la maggior parte delle persone in fuga dalla guerra, Tonia è partita da sola, con una valigia e le due figlie, in età di 5 e 13 anni. Alta, magra, bella, nonostante le occhiaie e gli occhi pieni di lacrime, racconta come i russi hanno distrutto completamente la città natale di sua nonna. Mia nonna e il resto della familia sono originari da Chernigov, una città che quasi non c’è più, è stata completamente distrutta. E nei pressi di Odessa si trova la città di Mykolaiv, ora sotto assedio. Sono partita con poche cose di primissima necessità. Non sono riuscita a prendere anche scarpe calde. Ho contattato alcuni parenti lontani, che hanno accettato di accoglierci e offrirci una stanza. Partiremo in treno per la Germania, dice Tonia.

Ma non tutti i profughi hanno la possibilità di partire. Dei 500.000 ucraini arrivati finora in Romania dall’inizio dell’invasione russa, più di 4.000 hanno chiesto asilo nel nostro Paese. Tutti si basano sull’aiuto della società civile e delle autorità dello Stato. Presente alla Stazione Nord sin dai primi giorni del conflitto, la Direzione Generale di Assistenza Sociale di Bucarest coordina le azioni di mobilitazione, tentando di rispondere il prima possibile alle necessità dei profughi, come spiega Mihai Iacoboaia, responsabile presso questa istituzione.

C’è chi voleva solo trasporto, c’è chi voleva anche alloggio. Alloggio significa anche vitto, prodotti per l’igiene corporale, assolutamente tutto. Arrivano qui delle persone che si iscrivono come volontari, interpreti o che offrono alloggio, però tentiamo evitare simili offerte e privilegiare il Centro fondato appositamente per l’alloggio centralizzato nella Capitale e il trasporto, laddove necessario. Sin dall’inizio siamo stati aiutati dalla società civile – ONG e volontari indipendenti che ci aiutano, spiega Mihai Iacoboaia.

Anche se alcuni profughi evitano di essere ospitati da stranieri, altri, più fortunati, hanno amici in Romania. E’ anche il caso di Irina che, insieme ad altre due donne della sua famiglia e i figli, sono ospitate da Ana Maria Stroe e il marito. La coppia ha un legame speciale con l’Ucraina, dopo che Ana Maria ha fatto la fecondazione in vitro in una clinica ostetrica di Kiev. E’ li che ha conosciuto Irina che, pur non volendo all’inizio lasciare la città, alla fine se n’è andata quando ha visto che i bombardamenti non cessano più, racconta Ana Maria Stroe.

Alla fine ci ha chiamato per dirci che non ce la faceva più, soprattutto perchè è anche incinta e temeva di non poter portare la gravidanza a buon fine a causa dello shock, visto che lì è sempre peggio. Cosicchè abbiamo detto: non importa in quanti siete, venite tutti! Gli uomini non sono venuti, in quanto in età tra i 18 e i 60 anni, quindi non possono uscire dall’Ucraina, però sono venute le donne con i bambini. Siamo andati a prenderle da Siret, dopo un viaggio pesantissimo di 40 ore, in un treno che le aveva portate da Poltava, che dista 300 km da Kiev, fino a Leopoli, vicino al confine con la Polonia, e poi a Chernivtsi. Un lunghissimo viaggio, in condizioni tremende, dormendo sui bagagli, con le tende tirate per non diventare target dei russi. Le era stato detto dall’inizio di portare pochi bagagli, altrimenti le valigie in più sarebbero state buttate dal treno per fare posto a quanto più persone, racconta Ana Maria.

Tuttavia, in Romania, dove lo stipendio medio si aggira sui 780 euro al mese, non tutta la popolazione può accogliere profughi od offrire vestiti e alimenti. Ma anche così, chiunque ha la possibilità di dare una mano, aggiunge la psicologa Raluca Petru. La cosa migliore è accoglierli con tutto il cuore, un sorriso conta tantissimo per loro, come anche il fatto di sentire in una lingua conosciuta state tranquilli, andrà tutto bene, siete al sicuro. Contano tantissimo anche i piccoli gesti – offrire un dolce o un succhiotto per il bimbo o cose che a loro possono sembrare un lusso. Tanta gente ha portato dei giocattoli. Gli adulti reagiscono molto bene al fatto che si parla con loro, c’è una mobilitazione esemplare dei traduttori sia di lingua ucraina che di russo, che ci hanno dato un enorme aiuto. Hanno aiutato i profughi ha sentirsi valorizzati e non semplici numeri: non arriva un treno con 600 persone a bordo, bensì un treno con 600 anime, dice la psicologa.

E’ passato il mezzogiorno e mezzo. Per alcuni di noi segue un pomeriggio domenicale tranquillo. Per altri, come Ilinca Ștefănescu, è solo una nuova giornata passata al servizio di gente che ha perso tutto. Lei stessa costretta a lasciare la Romania negli anni 1970, in fuga dal regime Ceaușescu, Ilinca – vissuta a Parigi per 24 anni – racconta con gli occhi pieni di lacrime i drammi che vede da qualche giorno.

Immaginate un po’ il dramma di questa gente. Alcuni arrivano solo con i vestiti che hanno addosso, senza nient’altro, in uno stato psicologico fragile, soprattutto i bambini che hanno visto cosa significano la guerra e le bombe. Altri sono effettivamente sfuggiti alle bombe, senza riuscire a prendere nulla. Non capisco come ci possano essere delle persone che non reagiscono, non è normale. Dobbiamo aiutare, ognuno come può. Siamo esseri umani e non possiamo voltare lo sguardo in simili momenti. Se ci sono delle persone che non credono che questa guerra esiste, le invito a passare solamente un’ora qui, alla Stazione Nord, e vedere cosa fanno i volontari. Sono tutti straordinari, conclude Ilinca.

Mentre le bombe continuano a cadere, gli ucraini continuano a fuggire. Mi chiedo continuamente cosa sarebbe da fare per mantenere alto l’entusiasmo dei romeni nell’aiutarli? La psicologa Raluca Petru ha una soluzione. E’ molto importante il modo in cui riceviamo le donazioni e, se rifiutiamo qualcosa, farlo senza aggressività. E’ un aspetto attinente a noi, ai volontari. Sempre a livello sociale, si deve accettare il fatto che questa gente si trova in una situazione estrema. Paragoni tipo ma perchè non aiutate anche i nostri nello stesso modo? sono assolutamente fuori luogo. Su di noi, signore e signori, non cadono le bombe ogni 5 minuti, non ci spara nessuno e non ci bombarda nessuno sul corridioio umanitario di evacuazione. Alla domanda se anche loro avessero aiutato noi, vi possono rispondere con certezza di sì, anche loro ci avrebbero aiutato in una simile situazione, conclude Raluca Petru.

Una simile situazione? Non la voglio nemmeno immaginare. E’ l’una in punta e sto per uscire dalla Stazione Nord, andando verso casa e approfittare di quello che mi è rimasto di questo fine settimana. Intanto, Tonia e le figlie stanno tirando una valigia, in attesa del treno che le porterà in Germania, verso una nuova vita.

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