Racconti dalla palude
Cartografie, interviste alla gente della zona, scoperte su parole vecchie e nuove del vocabolario locale, facendo attenzione alle varie influenze linguistiche delle minoranze turche, bulgare e ucraine, nonché alla loro coesistenza accanto a neologismi moderni, ma anche lavori artistici, sono tutti i risultati di un progetto pluridisciplinare, svolto nel villaggio di Luncaviţa.
Ana-Maria Cononovici, 27.10.2024, 15:58
Cartografie, interviste alla gente della zona, scoperte su parole vecchie e nuove del vocabolario locale, facendo attenzione alle varie influenze linguistiche delle minoranze turche, bulgare e ucraine, nonché alla loro coesistenza accanto a neologismi moderni, ma anche lavori artistici, sono tutti i risultati di un progetto pluridisciplinare, svolto nel villaggio di Luncaviţa, in provincia di Tulcea. Il villaggio si trova in una ex zona inondabile del Danubio, al momento terreno coltivabile. E visto che ci ha passato l’infanzia, Dana Pârvulescu, la coordinatrice del progetto “Glossario Residenza. Arte e antropologia”, ha raccontato la storia di questa ricerca che si è svolta per due anni: “E’ lo spazio in cui ho passato l’infanzia e in cui ho voluto tornare per capire cosa è successo negli ultimi 20-30 anni, quando i cambiamenti hanno segnato in un certo modo la vita degli abitanti e negli ultimi anni è avvenuta tutta una serie di trasformazioni. Parliamo di ecologia, di migrazione e così via. Quindi ci riferiamo a uno spazio della Dobrugea del Nord. Luncavița è sita sulla strada che collega Galați e Tulcea, dopo che si attraversa il Danubio a Galați. Questo era uno spazio lacustre, lo chiamiamo la zona inondabile del Danubio perché in primavera l’acqua effettivamente bussava alle porte del villaggio e delle case. Questa zona inondabile è scomparsa a partire dal 1987, in seguito a un processo di modernizzazione e di arginamento del Danubio. Ho passato molto tempo della mia infanzia in questo spazio che era una palude, una foresta di salici con molta acqua, ninfee, giunchi, era effettivamente un universo lacustre.”
Una realtà difficile da immaginare oggi da coloro che vedono questo spazio di 10 km tra il villaggio e il Danubio, ci ha detto ancora la nostra interlocutrice aggiungendo: “Questi cambiamenti sono stati graduali. Inizialmente, la terra era molto fertile dopo l’arginamento. La gente possedeva dei pezzi di terra nella palude e vi piantava pomodori, peperoni, verdure, girasole, tutte le piante necessarie per la vita e i raccolti erano molto ricchi. Nel frattempo le cose sono leggermente cambiate. Continuiamo ad avere dei canali che assicurano l’irrigazione della zona. Al momento vengono coltivati cereali, grano. Parliamo di uno spazio agricolo controllato dall’uomo, sfruttato per l’agricoltura.”
Un villaggio che ha tenuto in qualche modo il passo con la modernità, il che ha facilitato l’interazione tra artisti, antropologi e gente della zona. Dana Pârvulescu: “C’è stato un esperimento l’anno scorso, hanno girato molto insieme nella zona, da una parte gli artisti cercando di documentare quello che fanno gli antropologi e gli antropologi prendendo appunti sul terreno, che successivamente hanno dovuto mettere insieme. Sono stati anche pubblicati due articoli in merito sulla piattaforma Iscoada. È un’esercitazione di lavoro interdisciplinare tra artisti e antropologi. Si influiscono a vicenda. Se a prima vista potrebbe sembrare che il loro lavoro non interferisca molto, quest’anno potrei dire che le cose sono cambiate. È vero che alcuni di loro si conoscevano già da prima e ciò aiuta, ovviamente. Altri conoscevano già lo spazio in cui dovevano andare a fare ricerche. E allora abbiamo saltato questi passi di adattamento a uno spazio nuovo e a persone nuove. Io credo molto nell’interdisciplinarità e i risultati di un lavoro di squadra si fanno notare in maniera diversa. Infatti, ciò si vede nella mostra di quest’anno: «Glossario Residenza».”
E poiché l’anno scorso il risultato della residenza di Luncaviţa è stata la mostra “Qui una volta c’era dell’acqua”, che si è svolta sotto la forma di un laboratorio, per il quale le persone coinvolte continuavano a raccogliere i materiali riuniti nella mostra e allestirli, Dana Pârvulescu ha precisato: “Praticamente nello spazio che ci ha ospitato, abbiamo montato una cartina che indicava l’ex zona inondabile in cui gli antropologi hanno inserito testi delle interviste avute con gli abitanti. Noi abbiamo cartografato e messo sulla carta i luoghi che avevano un certo aspetto 30-40 anni fa. Ad esempio, qui c’era la casa in cui si raccoglieva il pesce pescato e da dove veniva mandato altrove. Una persona della zona diceva l’anno scorso che “laddove adesso passa la macchina, allora passava la carrozza” e una delle artiste presenti nella mostra dell’anno scorso ha disegnato le tracce di alcuni cavalli che evocavano i cavalli che andavano sulla diga prima e adesso non se ne vedono più. Quest’anno, uno degli antropologi nota la scomparsa degli animali da peso e la loro sostituzione con tricicli elettrici per lo spostamento, oppure con impianti agricoli. C’è questo pendolare tra quello che è avvenuto l’anno scorso e quello che sta accadendo quest’anno. Se l’anno scorso abbiamo tracciato questa cartina, che è stata l’elemento centrale della mostra e che quest’anno, con l’aiuto della scuola del villaggio, siamo riusciti a montare nella scuola, affinché servisse da materiale didattico per i bambini della zona, quest’anno il Glossario è un po’ più specifico. L’anno scorso abbiamo organizzato una serie di laboratori con i bambini in residenza e loro usavano questa parola, palude. E poi quando ho chiesto loro se sapevano che qui c’era prima un’acqua, perché pensavano che si chiamasse palude, non hanno saputo cosa rispondere. Si riferivano a quella terra arida quando parlavano di palude.”
La mostra può essere visitata fino al 22 ottobre, al Museo Nazionale del Contadino Romeno di Bucarest, nella Sala Acquario, ma la ricerca continua e chi sa che cos’altro emergerà ancora.