Modi per “ballare” col burnout
Un progetto di residenze artistiche per esplorare in modo diverso il fenomeno del burnout e trovare soluzioni alternative per uscirne
Ana-Maria Cononovici, 01.02.2023, 17:28
Vivono allo stesso ritmo come la maggior parte di noi. Sperimentano la vita con le sfide che tutti noi affrontiamo. Ma con un grado di sensibilità in più, le tre donne di cui parleremo oggi hanno pensato di esplorare in modo diverso il fenomeno del burnout e di trovare soluzioni alternative per interromperlo, se non addirittura per uscirne. Il risultato sono state delle residenze che esplorano il fenomeno, diverse esibizioni e molte esperienze indimenticabili che continuano ancora. Ma entriamo più nei dettagli. La coreografa Andreea Novac è stata allorigine del progetto artistico intiotolato “Burnout”: “Burnout è partito da una necessità o da una realtà con cui mi sono confrontata l’anno scorso. Sono reduce di alcuni anni che mi hanno “bruciato” parecchio. E lanno scorso ero proprio a un punto in cui, anche se sapevo di dover continuare, in un modo o in un altro, a fare quello che stavo facendo, sentivo di non averne più le risorse e la capacità. Allora ho scritto questo progetto sul burnout. E unaltra cosa importante: sentivo dire la stessa cosa da persone intorno a me o nella cerchia di persone più o meno vicine. Soprattutto professionalmente. Ogni volta che facevo questa domanda, come stai, mi dicevano: sono esausta o sono esausto! Non ne posso più, non voglio più. E ho scritto questo progetto che ho presentato allAFCN (Amministrazione del Fondo Culturale Nazionale) e ho ottenuto un finanziamento. Volevo davvero esplorare il burnout da diverse prospettive, cioè non solo da una prospettiva artistica. Volevo capire il burnout in un contesto sociale leggermente più ampio, perché si verifica, perché non possiamo riposare, per esempio, o perché non possiamo permetterci di riposare. Volevo capire che effetti ha su di me il burnout, e ora parlo di effetti psicologici, e volevo vedere cosa mi fa, anche fisicamente, perché le manifestazioni del burnout non sono solo psichiche, ma anche fisiche, cioè alcune trasformazioni avvengono anche a livello del corpo. Così è iniziato il progetto, da quest’idea, che poi si è sviluppata in 3 diverse direzioni. Perché siamo state 3 artiste coinvolte”.
Abbiamo anche parlato con Alina Uşurelu, artista visiva e performer, la quale ci ha raccontato la sua esperienza in questo progetto: “Il progetto “Burnout” è stato avviato dalla coreografa Andreea Novac che, l’anno scorso, ha invitato me e Irina Marinescu ad aderire all’iniziativa e a collaborare ciascuna di noi con un ricercatore e specialista che esplora il fenomeno del burnout da diverse prospettive. Ognuna di noi ha avuto un periodo di residenza in una città della Romania. Per me è stata la città di Cluj. Ho studiato il fenomeno del burnout a Casa Tranzit a Cluj, insieme a Roxana, che è un medico, e in qualche modo ho guardato a questo fenomeno del burnout anche dal punto di vista degli ultimi 3 anni di pandemia e guerra. E, in qualche modo, tutto questo flusso di informazioni fortissimo ci ha colpito a livello emotivo e ci ha portato, senza che noi lo volessimo necessariamente, a un sovraccarico d’informazioni. Per me è stata unesperienza in cui mi sono resa conto come operatore culturale e come artista, che, per entusiasmo, aderisco a molti progetti contemporaneamente e finisco per “bruciarmi” da sola. E, in qualche modo, è stata unesperienza molto importante per me potermi autoregolare in questo contesto. La società in cui viviamo ci impone di assumere molti ruoli e non siamo più in grado di filtrarli e scegliere i ruoli che vogliamo. E non abbiamo più la capacità di discernere se possiamo svolgere il ruolo che ci viene chiesto dallesterno. Per me, è un progetto che vorrei portare avanti. Ho già avuto lesperienza di spazi completamente diversi vicino a Cluj. Lho presentato anche allAREAL (spazio coreografico nel centro di Bucarest) e anche alla Galleria Suprainfinit, ed è stata unesperienza molto interessante e la mia intenzione è di portarlo in luoghi quanto più diversi possibile e più stimolanti per me e per il pubblico”.
Irina Marinescu, coreografa e performer, ha aggiunto: “Per me è stato un progetto molto rivelatore e mi ha indicato anche molte direzioni su cui lavorare in futuro. È qualcosa su cui sto lavorando sia personalmente, per non finire più in una situazione di esaurimento, perché tutte e tre abbiamo iniziato questo progetto con un sincero desiderio e bisogno di esplorare qualcosa che ci colpisce periodicamente e non colpisce solo noi. È qualcosa di rilevante per molte persone in diversi campi. Per me ha significato anche un rimedio personale. Ed è ancora qualcosa su cui sto lavorando, nel senso che dallanno scorso dopo un periodo di residenza, mi sono rimaste 2 direzioni di ricerca, nel senso di laboratori di danza per il recupero dall’esaurimento e come posso portare le informazioni che ho nel contesto della formazione per la terapia tramite la danza che sto seguendo. E voglio dedicare tempo alla performance e al “work in progress” che ho fatto lanno scorso per portarli ancora più lontano e in più luoghi. Ci sono state due parti: quella che punta su cosa sono il burnout e i suoi effetti, e unaltra sul recupero. Ho avuto una residenza vicino alle Gole del Nera. Io e i miei colleghi abbiamo esplorato cosa significa riposo, cosa significa recupero, e in questo quadro le performance che abbiamo tenuto si sono svolte in natura o in spazi pubblici. Sia a Socolari che a Bucarest ho lavorato sullidea di comfort, relax e ninna nanna. Ho scoperto la ricchezza di ciò che significa la ninna nanna. Mi è sembrato che questa performance avesse un grande potenziale in uno spazio diverso da quello scenico. Infatti, crea una connessione diversa, soprattutto perché mi piace lavorare con questo tipo di installazioni performative che coinvolgono le persone, in realtà portano le persone insieme, in questo caso, con la ninna nanna e luncinetto e il portare un filo che tengono tutti coloro che partecipano a uno spettacolo. Mi è sembrato che portasse anche una sorta di azione simbolica, contro la cultura del multitasking in cui ci troviamo più o meno volontariamente “.
Tra le naturali conclusioni della ricerca, segnaliamo limportanza di concederci del tempo, almeno 10 minuti allinizio della giornata, o di tanto in tanto durante la giornata, per non fare nulla in particolare, ma per connetterci solo con il nostro proprio corpo, scoprendo esattamente di cosa abbiamo bisogno quel giorno e a cosa possiamo rinunciare, anche se sembra impossibile rinunciarci.