Sulla disinformazione online
Basato su sette principi chiave, il piano dell’UNESCO per combattere la diffusione dilagante della disinformazione online e dell’incitamento all’odio mira a proteggere l’integrità dei processi democratici e il panorama informativo globale.
Corina Cristea, 08.06.2024, 18:29
Basato su sette principi chiave, il piano dell’UNESCO per combattere la diffusione dilagante della disinformazione online e dell’incitamento all’odio mira a proteggere l’integrità dei processi democratici e il panorama informativo globale. Il piano è il risultato di un processo di consultazione senza precedenti che ha incorporato più di 10.000 contributi provenienti da 134 paesi nel corso di 18 mesi. “C’è un urgente bisogno di regolamentazione, le informazioni false e l’incitamento all’odio online, accelerati e amplificati dalle piattaforme dei social media, rappresentano ‘grandi rischi per la coesione sociale, la pace e la stabilità'”, ha affermato il direttore generale dell’UNESCO Audrey Azoulay.
Da un sondaggio commissionato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura e realizzato dall’istituto di sondaggi Ipsos in 16 paesi in cui si terranno elezioni quest’anno, compresi gli Stati Uniti, emerge che il 56% degli utenti di Internet si affida principalmente ai social media per apprendere le ultime notizie, percentuale che supera quella della televisione e dei media tradizionali. Questo passaggio ai social media come fonte dominante di notizie ha sollevato preoccupazioni a causa del minore livello di fiducia nelle informazioni che forniscono rispetto ai media tradizionali. Oltre l’85% degli intervistati ha espresso profonda preoccupazione per le conseguenze della disinformazione online e l’87% di loro ritiene che essa abbia già causato danni al panorama politico nel proprio Paese.
Le piattaforme di social media sono state identificate come il principale terreno fertile per le false informazioni in tutti i 16 paesi analizzati, con il 68% degli intervistati che le cita come principali colpevoli. Nel contesto dell’attuale crisi geopolitica e di sicurezza, aggravata dalle elezioni di quest’anno, le notizie false si diffondono più velocemente di quelle verificate, per cui le persone sono molto più esposte alla disinformazione che a fonti credibili, ha valutato a Radio Romania il docente universitario Antonio Momoc, della Facoltà di Giornalismo e Scienze della Comunicazione dell’Università di Bucarest. Egli ha analizzato le modalità di comunicazione nell’ambiente online e ha parlato di come i media si stanno adattando alle nuove sfide. I social network sono i maggiori pericoli nella diffusione delle fake news, ammonisce Antonio Momoc: “Ci sono molti studi sui vari social network – Twitter, Facebook, Instagram, TikTok – che dimostrano che le fake news si diffondono di più e più velocemente di quelle verificate. È una cosa matematica, statisticamente verificata. Molte più persone sono propense a leggere notizie false rispetto a notizie verificate, molte più persone s’imbattono in teorie del complotto. Se guardiamo TikTok troviamo ogni secondo una teoria del complotto, troviamo storie che spiegano tante cose e inventano cose sulla storia, sulla tradizione, sull’attualità, in ogni momento. Non parlo piu’ del deepfake e così via. Ciò che fanno gli algoritmi è fornire quell’informazione che cattura la nostra attenzione, che ci mantiene sulla piattaforma più a lungo e che genera entrate – gli algoritmi fanno il loro lavoro, in quel momento i motori di ricerca, l’intelligenza artificiale fondamentalmente monetizzano per Google, per Facebook. Ciò che si diffonde, ciò che viene amplificato, sono principalmente i nostri sentimenti di frustrazione e odio, la nostra rabbia e il fatto che possiamo in qualche modo reagire attraverso i commenti, attraverso le reazioni sui social media.”
E, spiega il professore, è questo che fa sì che tutte queste informazioni, queste teorie, tutte queste fake news non solo ci tengano prigionieri lì, ma rafforzino le cose in cui crediamo e ci facciano votare contro un intero sistema”. È chiaro che il giornalismo classico risente delle piattaforme digitali, ma la stampa pubblica, la radio e la televisione devono adattarsi rapidamente alle nuove tendenze ed essere presenti nell’ambiente digitale con un’informazione corretta e di qualità, aggiunge Antonio Momoc: “Abbiamo condotto uno studio sul consumo di Internet e sul consumo televisivo prima e dopo la pandemia. Il consumo televisivo prima, durante e dopo la pandemia è aumentato. Partiamo dal presupposto che il consumo di Internet sia aumentato, ma in realtà il consumo di Internet non aveva alcun posto dove crescere. Certo, la gente consumava molto Internet, nel senso che faceva acquisti, c’era la pandemia, la gente era chiusa in casa, ma dal punto di vista del consumo di informazioni verificava le notizie sempre alla radio e alla televisione o sulla carta stampata, che c’era anche online. Quindi, da questo punto di vista, la televisione e la radio sono ancora mezzi affidabili. Ci sono ambienti dove la gente sa benissimo che ci sono i giornalisti professionisti e se vogliono notizie di qualità vanno lì. Certo, ci sono sempre più giornalisti professionisti anche su piattaforme alternative, ma la radio e la televisione, essendo convergenti e operanti nell’area online, attirano il loro pubblico e comunicano con il pubblico nell’area online. Internet è solo un altro mezzo in cui si può manifestare il giornalismo di qualità”.
La conclusione? L’educazione ai media che insegna dove trovare le informazioni e le fonti di notizie, il pensiero critico, ma anche la cultura generale sono armi preziose nella lotta alla disinformazione sulle piattaforme digitali. E nel contesto della crescente esposizione alla disinformazione online, i media tradizionali possono rappresentare un fattore di bilanciamento.