Mete e sfide di inizio anno
Le europee svoltesi a maggio 2019 hanno dato una nuova configurazione all'Europarlamento: gli schieramenti di centro-destra e centro-sinistra hanno perso terreno davanti ai partiti minori.
Corina Cristea, 03.01.2020, 12:32
Le europee svoltesi a maggio 2019 hanno dato una nuova configurazione all’Europarlamento: gli schieramenti di centro-destra e centro-sinistra hanno perso terreno davanti ai partiti minori, e certi gruppi di estrema destra, ma anche gli ecologisti si sono aggiudicati più seggi. Il 2020 trova l’Europa con una leadership nuova e in ugual misura decisa a individuare le migliori soluzioni benefiche per i cittadini comunitari. Il primo test del nuovo Parlamento europeo è stata l’elezione di una nuova Commissione, un compito mica facile nelle condizioni in cui la procedura per la designazione dello Spitzenkandidat è stata contestata. Alla fine, la chiave che ha risolto i dissensi è stata la leadership della Commissione, assunta per la prima volta da una donna, l’ex ministra della Difesa tedesca, Ursula von der Leyen. E sempre per la prima volta, nei negoziati sugli incarichi, sono state tenute in considerazione la parità di genere, la posizione geografica e l’identità politica.
La tutela ambientale e i cambiamenti climatici, la crescita economica, l’inclusione, l’innovazione e la digitalizzazione, nonchè la protezione della democrazia, dei valori europei, dei diritti dei cittadini e dello stato di diritto sono le massime priorità della nuova presidente, che dal 1 dicembre ha assunto l’incarico, subentrando a Jean-Claude Juncker. Sempre il 1 dicembre ha visto anche il passaggio di consegne tra Donald Tusk e il nuovo presidente del Consiglio UE, l’ex premier belga Charles Michel, il quale ha dichiarato che l’Unione deve assumere il ruolo di protagonista sulla scena internazionale. Un protagonista che perde, però, la Gran Bretagna, un membro importante e grosso contributore al bilancio comunitario. Prevista inizialmente per marzo 2019, la Brexit è stata rinviata ripetutamente, però è in dirittura d’arrivo dal momento in cui il nuovo Parlamento di Londra ha dato il via libera all’accordo di ritiro.
Stiamo attraversando una tappa in cui la Brexit diventa una certezza: il 31 gennaio, con un accordo approvato dal suo Parlamento, la Gran Bretagna esce dall’UE. Allo stesso tempo, inizia una tappa almeno altrettanto lunga e piena di incertezze sul delineamento delle relazioni tra il Regno Unito e l’UE, partner di necessità, partner di cultura, storia e tradizioni, che, però, dovranno individuare oggi quel linguaggio giuridico in grado di codificare le loro relazioni economiche e sociali relative al futuro a lungo termine della miriade di aspetti che inevitabilmente collegano il Regno Unito all’Europa. La Gran Bretagna è il primo contributore militare dell’UE. Senza la Gran Bretagna, l’Unione diventa un attore molto meno importante in materia di politica di sicurezza e difesa del continente. Sarà questo un dossier importante nei futuri negoziati, in quanto il ritiro del Regno Unito non cambia il tipo di minacce comuni per Gran Bretagna e UE. Cambia, invece – anche sotto profilo legale – il modo in cui questa cooperazione potrà continuare, spiega l’analista di politica estera Andrei Ţărnea.
Per la Romania, membro dell’Unione Europea e della NATO, il 2020 sarà anche un anno elettorale, con le amministrative a inizio estate e le politiche previste per novembre, qualora non si tenessero le anticipate richieste dalla maggior parte della classe politica. Il governo liberale presieduto da Ludovic Orban, insediato in seguito all’allontanamento della squadra socialdemocratica di Viorica Dancila, sfiduciata a ottobre da una mozione firmata da parlamentari di tutti gli schieramenti, potrebbe essere dimesso se modificherà la legislazione elettorale per rendere possibile l’elezione dei sindaci a due turni. La voce ricorrente è che la fiducia del governo o un decreto adottato con la procedura d’urgenza per un simile progetto, fossero in grado di provocare una crisi politica in seguito alla quale in primavera potrebbero essere convocate le anticipate.
Intanto, alla fine del 2019, il governo ha posto la fiducia sulla Finanziaria per il 2020, una première nella politica romena, sul ddl relativo al bilancio di previdenza, come anche sulle modifiche al decreto 114 adottato dal precedente esecutivo con la procedura d’urgenza, che ha portato nuove tasse alle compagnie attive nei settori dell’energia, delle telecomunicazioni e delle banche. Era l’unica variante per avere la Finanziaria per il 2020 pronta alla fine del 2019. Il nuovo bilancio include spese e obblighi presi tramite decisioni politiche precedenti, che l’attuale governo ha assunto, soprattutto per quanto riguarda gli incrementi di salari e pensioni, cosicchè la costruzione del budget si è articolata piuttosto in un esercizio volto a tenere sotto controllo il deficit, spiega l’analista economico Aurelian Dochia.
Nemmeno questa soluzione di un deficit limitato al 3,58-59% è troppo credibile, in quanto poggia su premesse molto ottimiste. A mio avviso, una crescita economica del 4,1% nel 2020 supera quello che la maggioranza delle previsioni internazionali indica come realistico in Romania. Secondo me, il 2020 non porterà modifiche importanti in materia di tasse e imposte. Ma successivamente, quando un nuovo governo avrà un mandato popolare, una simile discussione appare come molto possibile, in quanto la sostenibilità a medio e lungo termine è in forse, ritiene l’analista Aurelian Dochia. A suo avviso, il tasso dell’inflazione potrebbe essere superiore a quello tenuto in considerazione alla costruzione del bilancio, alla luce delle parecchie pressioni in tal senso, compreso il deprezzamento della moneta nazionale, il leu.