Il pericolo delle fake news
Oltre alla performance di aver sconvolto l'intero mondo, il COVID-19 svolge anche altri ruoli, tra cui quello di sottoporre la società e la sua vulnerabilità al test delle fake news.
Corina Cristea, 13.05.2020, 15:32
Oltre alla performance di aver sconvolto l’intero mondo, il COVID-19 svolge anche altri ruoli, tra cui quello di sottoporre la società e la sua vulnerabilità al test delle fake news. Sin dall’inizio, i messaggi ufficiali hanno sottolineato che la pandemia è accompagnata passo per passo dalla cosiddetta infodemia, un vero bombardamento di informazione o piuttosto disinformazione, che amplifica e cambia i delineamenti. Sono in tante le motivazioni che stanno dietro le fake news. Ad esempio, si può trattare di interessi politici o di attivisti anti-vaccino, ma anche di screditare o anzi, costruire, un profilo favorevole ad una certa persona a scapito di un’altra. Il fenomeno in sè non è nuovo, però è dilagato parallelamente allo straordinario sviluppo delle piattaforme digitali. Quello che va capito è che fake news non significa notizie false.
La disinformazione digitale non ha nulla a che fare con il giornalismo, ha spiegato a Radio Romania la docente universitaria Alina Bârgăoanu, esperta del Gruppo ad alto livello sulle notizie false e la disinformazione online della Commissione Europea. L’ecosistema di comunicazione e informazione è cambiato fondamentalmente negli ultimi anni. Il digitale ha generato una grande dislocazione del sistema, e la stampa mainstream è addirittura una vittima collaterale di questa incredibile salita delle piattaforme digitali, spiega la prof.ssa Alina Bârgăoanu. Utilizzare il termine fake news è ingannevole, poichè ci porta all’idea di distinguere tra vero e falso, mentre, in realtà, il megafenomeno della disinformazione digitale non ha a che fare con una frode necessariamente collegata alla verità. Si tratta di una frode nell’utilizzare il nostro profilo personale, i nostri dati personali e targettarci come utenti di piattaforme digitali, afferma la prof.ssa Alina Bârgăoanu.
Il pericolo riguarda la strumentalizzazione, favoreggiata dall’algoritmizzazione, nel senso che le fake news sono costruite a seconda degli interessi e fornite a certi target, in base al comportamento sui social media. A questo punto, le cose diventano relativamente semplici: non è complicato avere influenza su una persona il cui profilo è conosciuto molto bene e farla sintonizzarsi e condividere un’informazione che sembra confermare i suoi timori o pregiudizi. In questa equazione, il binomo Facebook-Google svolge un ruolo notevole, raccogliendo dati e disseminando rapidamente e facilmente le informazioni verso un numero stellare di utenti, ottimamente targettati proprio perchè il loro profilo può essere facilmente delineato. Articoli pubblicati dall’Intelligence israeliana indicano la capacità di valutare la disponibilità di certe persone di farsi saltare in aria a seconda del cioccolato che mangiano, esemplifica la prof.ssa Alina Bârgăoanu, spiegando cosa sono, praticamente, le fake news.
Le fake news non sono nè notizie nè false. Ovviamente, possiamo parlare anche di questa specie giornalistica, cioè di errori di informazione, di dinsiformazioni buttate consapevolmente sul mercato, però la cattiva notizia è che non parliamo di notizie, bensì di emozioni, meme, filmini, vignette, hashtag, quindi non qualcosa di falso. Un’informazione può essere verissima, però, se amplificata da algoritmi e motori di ricerca, allora diventa una fake, in quanto entra in una gara disuguale con un’informazione altrettanto vera che, invece, non è promossa. Abbiamo a che fare con un fenomeno che io denomino disinformazione 2.0, per richiamare l’attenzione sul fatto che si tratta di un fenomeno completamente nuovo, connesso all’esplosione delle piattaforme digitali e non al giornalismo, spiega ancora l’esperta, richiamando l’attenzione che in Romania siamo caduti nella trappola di discutere di fake news in termini di vero e falso.
A mio avviso, la differenza fondamentale si fa tra quello che è virale e quello che non è virale, tra quello che può arrivare sui motori di ricerca e quello che, invece, non ci arriva, tra quello che viene promosso su Facebook e quello che viene tolto da Facebook. Esistono dei meccanismi di deplatforming, dei meccanismi tramite cui Google colloca il tuo nome al primo o al 100/o posto. Ciò non significa che tu non esisti, però, tramite una manovra di Google, sei una personalità, mentre tramite un’altra praticamente non esisti nello spazio pubblico. Secondo me, l’ampio fenomeno della disiformazione digitale non va discusso in termini di vero o falso. Dobbiamo parlare dei cambiamenti fondamentali portati dalle piattaforme digitali nell’ecosistema dell’informazione, conclude la prof.ssa Alina Bârgăoanu.
Il più delle volte, ritroviamo nelle fake news delle esagerazioni che creano panico, e la loro diffusione è aiutata dal loro carattere prevalentemente allarmista, dal fatto che, il più delle volte, è accompagnata da informazioni che inducono perplessità o furia. Altrettanto preoccupante è il fatto che continuano, in gran misura, a fare i giochi di coloro che le hanno generate anche se sono smentite. In altre parole, le fake news ledono la ragione, e un cervello aggredito è più vulnerabile alla manipolazione. Manipolazione che identifichiamo come un anello importante anche nella guerra ibrida, se dietro le quinte stanno player statali. Lo scopo è quello di generare dei cambiamenti nella mentalità collettiva, affinchè, stimolando scontentezza, frustrazioni e odio, sia raggiunta una meta politica, come, per esempio, la nascita di partiti antieuropei, antioccidentali, in grado di cambiare in maniera drammatica il paradigma geopolitico e di sicurezza.