I romeni, cittadini europei
La decisione di Vienna di aggiustare, a partire da gennaio 2019, gli assegni per i figli non residenti dei lavoratori stranieri in Austria ha destato reazioni in molti Paesi, tra cui anche la Romania.
Corina Cristea, 17.01.2019, 16:37
La decisione di Vienna di aggiustare, a partire da gennaio 2019, gli assegni per i figli non residenti dei lavoratori stranieri in Austria ha destato reazioni nei Paesi in cui la misura equivale ad un calo delle somme da riscuotere. Tra cui anche la Romania, nel caso della quale si tratta di un’indicizzazione pari allo 0,484 – coefficiente che rappresenta la differenza tra il livello dei prezzi nei due Paesi, calcolata secondo un indicatore a livello europeo. Concretamente, i benefici saranno dimezzati. Questa indicizzazione degli assegni non riflette il principio dell’uguaglianza e della non discriminazione, i valori comuni su cui è stata fondata l’Unione, nè il principio de l’unità nella diversità, sul quale è stato costruito il progetto europeo. Lo ha dichiarato, a Bucarest, il ministro per i romeni nel Mondo, Natalia-Elena Intotero.
Il Ministero ha annunciato di trattare con priorità la situazione dei romeni interessati da questa legge, che riguarda anche i cittadini di altri stati dell’Unione e che va discussa a livello europeo. Dal punto di vista della Romania, finchè i romeni hanno gli stessi obblighi dei cittadini degli stati in cui lavorano, pagando contribuiti allo stesso livello con i cittadini dei rispettivi Paesi, meritano di avere gli stessi diritti. L’indicizzazione degli assegni dei figli non residenti dei lavoratori in Austria è un caso chiaro di discriminazione e il governo prende in calcolo di rivolgersi alla Corte di Giustizia dell’Ue. Lo ha reso noto il capo della diplomazia romena, Teodor Meleşcanu. Allo stesso tempo, in un intervento a Radio Romania, il ministro del Lavoro e della Giustizia Sociale, Marius Budăi, ha spiegato: La posizione chiara della Romania su questo tema è che i lavoratori europei vanno trattati in modo uguale dagli stati membri in cui svolgono la loro attività, il diritto alla libera circolazione essendo uno dei fondamenti dell’Ue e del mercato unico. Cosi’, la Romania si oppone a qualsiasi iniziativa che metterebbe in pericolo il principio dell’uguaglianza per quanto riguarda la libera circolazione dei lavoratori e i diritti derivanti dai contributi sociali identici pagati dai lavoratori romeni negli stati membri, e avvierà le pratiche necessarie per risolvere il problema. In più, abbiamo avuto una discussione con la commissaria Ue al Lavoro, Marianne Thyssen, la quale è stata d’accordo con la posizione della Romania in merito a questo problema.
La Commissione Europea ha annunciato, del resto, di analizzare attentamente la legge in Austria dal punto di vista della sua compatibilità con la legislazione europea. Nel frattempo, un portavoce della Commissione ha ricordato che la posizione di Bruxelles è arcinota – l’indicizzazione degli assegni familiari non è conforme alla legge Ue. In una prima presa di posizione, il ministro austriaco della Famiglia ha respinto le critiche di Bucarest, affermando che la Romania, in veste di attuale presidente del Consiglio dell’Ue, deve avere una posizione neutrale. È vero, afferma il docente Iulian Chifu, ma al tavolo delle discussioni, come qualsiasi altro stato, la Romania ha il proprio punto di vista. D’altra parte, la questione dei benefici sociali è già stata discussa, in Gran Bretagna, durante la campagna per il referendum sulla Brexit, ricorda il professor Chifu.
All’epoca c’era UKIP, il Partito indipendentista della Gran Bretagna, diretto da Nigel Farage, che ha portato all’attenzione simili temi. Vi si sono affiancati alcuni dei conservatori, Boris Johnson – che era sindaco di Londra e che ulteriormente ha rinunciato alla carica ed è entrato in politica, e loro sono quelli che hanno sostenuto esattamente questa aberrazione. E proprio da quel momento il dibattito è avvenuto a livello della Commissione Europea e la Gran Bretagna ha appreso, tutti gli altri lo sanno, l’Austria in ugual misura, che la possibilità di modificare queste quote che spettano alla previdenza sociale, agli assegni sociali, alle imposte e ogni altro genere di questa categoria, non è possibile in base ad una discriminazione relativa al Paese di origine o a differenze tra cittadino residente, cittadino europeo. Del resto, queste cose sono relativamente chiare, queste cose si risolvono molto semplicemente. Nel momento in cui appare una legge non conforme, scatta la procedura di infringement, dopo di che, nel caso in cui lo stato non desidera modificarla entro il termine dato dalla Commissione Europea – il guardiano dei trattati, quindi degli accordi europei – in quel momento, dopo aver attraversato quelle tappe, la Commissione Europea fa causa al rispettivo stato alla Corte Europea di Giustizia, ha spiegato Chifu.
Nell’opinione del professor Chifu, se si giunge a una simile situazione, trattandosi di una questione praticamente già discussa 4 anni fa, per cui il dossier è, praticamente, completo, le procedure si svolgeranno abbastanza rapidamente affinchè non sorga il problema di un ritardo eccessivo nel sanzionare una simile legge, che è ovviamente discriminatoria a livello europeo, completamente antieuropea. In generale, la causa viene giudicata dalla Corte con celerità, trattandosi di qualche mese – un anno e mezzo fino alla decisione finale. Decisione che lo stato deve rispettare, modificando la propria legislazione per adattarla alle regole europee che si è assunto nel momento in cui è diventato membro dell’Ue.