Viaggiatori romeni nell’Ottocento
A partire dall'Ottocento, sempre più boiardi romeni, soprattutto giovani, ma anche un po' anziani, andarono dapprima alla scoperta dell'Occidente europeo e poi del mondo intero. Molti pubblicarono le memorie e le impressioni.
Christine Leșcu, 15.01.2019, 10:38
Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, l’erudito Dimitrie Ralet definiva i romeni come sedentari: si vede come il romeno abbia ereditato dai daci la caratteristica di essere attaccato fisicamente al proprio Paese. Però non durò troppo e i romeni si tolsero di dosso questa abitudine. A partire dall’Ottocento, sempre più boiardi, soprattutto giovani, ma anche un po’ anziani, andarono dapprima alla scoperta dell’Occidente europeo e poi del mondo intero. Molti pubblicarono le memorie e le impressioni.
Il primo a diventare celebre anche grazie al suo diario di viaggio fu il boiardo Dinicu Golescu. I suoi Appunti di viaggio nel 1824, 1825, 1826 raccontano il suo giro cominciato in Transilvania, per proseguire con Ungheria, Austria, Italia, Germania e Svizzera. Prima di Golescu, nel 1807, l’erudito Gheorghe Asachi era stato il primo giovane boiardo ad arrivare a Vienna e Roma, per compiere gli studi desiderati. Fu con loro che nacque una ricca letteratura di viaggio, i cui protagonisti sono anche personaggi meno conosciuti, però interessanti.
Questi testi sono stati raccolti dal professore universitario Mircea Anghelescu nel volume Viaggiatori romeni e i loro viaggi nell’Ottocento. Il nostro Ottocento ha riassunto numerosi aspetti, raggiunti da altri popoli lungo due-tre secoli. Abbiamo realizzato tanto in quel secolo, molti viaggiatori celebri raccontarono cose importanti, che ti vengono in mente quasi automaticamente. Invece, sono trascurati alcuni meno conosciuti, però particolarmente interessanti. Un esempio in tal senso fu una signora che menò una vita abbastanza agitata: Otilia Cosmuta, la figlia di un arciprete romeno del nord della Transilvania, che attorno il 1900 sposò un funzionario dell’Impero Austro-Ungarico. Però lei era piena di velleità, soprattutto artistiche. Andò a studiare la pittura in Germania, dove si innamorò del Giappone, cosicchè partì per questo Paese con una borsa governativa, con l’obbligo di inviare anche delle corrispondenze. E infatti, ne mandò parecchie, molto interessanti, sulla vita e la cultura dei giapponesi. Ma delle corrispondenze inviò anche da Parigi, dove pare che abbia conosciuto Brancusi, spiega Mircea Anghelescu.
Lo spirito del recupero degli anni 1800 si estese quasi fino alla prima Guerra Mondiale. Se gli inizi furono timidi, nella seconda metà dell’Ottocento, ma soprattutto nella prima parte del secolo successivo, molti romeni già facevano il giro del mondo per divertimento, avventura o per ragioni scientifiche. Dimitrie Ghika-Comanesti arrivò in Africa, Basil Assan fece il giro del mondo, mentre Emil Racovita raggiunse l’Antartide. Tra questi nomi celebri, trapelano altri meno conosciuti, ma legati a preziosi contributi, aggiunge Mircea Anghelescu.
Alcuni furono semplicemente degli avventurieri che apparvero e scomparvero, come certi soldati della Legione Straniera che attorno al 1900 si trovavano in Africa e, probabilmente per noia, mandarono varie corrispondenze nel Paese, dopo di che sparirono nel nulla. Anche il mestiere era rischioso. Nel 1903-1904, un cronista di sinistra come orientamento di Galati, in seguito al fallimento del suo giornale, partì per l’Africa con lo scopo di arricchirsi dall’agricoltura. Dopo qualche anno, fallì in maniera deplorevole, ovviamente, ma l’esperienza andava sicuramente raccontata per iscritto. Per chi non ha letto tanta letteratura di viaggio, è interessante scoprire che i romeni, noti per il loro profondo attaccamento fisico al proprio Paese nel Settecento – Ottocento, nell’arco di qualche decina di anni diventarono grandi avventurieri in mare e terra, aggiunge il prof. Anghelescu.
Se all’inizio la scoperta dell’Europa occidentale spinse i viaggiatori romeni a fare dei paragoni sfavorevoli, lungo il tempo se ne resero conto di aspetti diversi. Nell’Ottocento, sin dall’inizio, ci siamo guadagnati una collocazione europea. Ci siamo accorti di essere, praticamente, degli europei, e abbiamo adottato in maniera consapevole la coscienza europea. Sempre grazie ai viaggi, si cominciò dall’individuazione delle somiglianze e dei campi di civiltà, che andavano riempiti di materia europea, conclude il prof. Mircea Anghelescu.
Fu, quindi, necessario, uno shock creato dai viaggi. Uno shock tramite cui ci siamo resi conto dell’arretratezza, ma anche del fatto che la modernizzazione o l’europeizzazione erano a portata di mano, e che i romeni appartenevano all’Occidente piuttosto che all’Oriente che li aveva assimilati per secoli. Sempre all’Ottocento, ma anche ai suoi viaggiatori, dobbiamo il recupero accelerato delle differenze dall’Europa occidentale.