Ritratto della letterata Monica Lovinescu
Nata nel 1923 e deceduta nel 2008, a Parigi, Monica Lovinescu fu, accanto a suo marito, Virgil Ierunca, uno dei simboli dellesilio anti-comunista romeno.
Christine Leșcu, 09.12.2013, 12:59
Nata nel 1923 e deceduta nel 2008, a Parigi, Monica Lovinescu fu, accanto a suo marito, Virgil Ierunca, uno dei simboli dell’esilio anti-comunista romeno, nota soprattutto per la lucidità e la pertinenza con cui smascherava le bugie della propaganda comunista, ma anche per il suo percorso biografico speciale.
Figlia del critico letterario Eugen Lovinescu, fervente sostenitore del modernismo nella letteratura romena, e dell’insegnante di francese Ecaterina Bălăcioiu-Lovinescu, Monica aveva dimostrato un talento letterario precoce, pubblicando in tenera età alcuni testi letterari.
Dopo la guerra cominciò a scrivere critica drammatica. A settembre 1947, poco prima dell’abdicazione di re Michele in seguito all’insediamento del regime comunista in Romania, Monica Lovinescu partì per Parigi con una borsa dello stato francese e non tornò più. In esilio continuò l’attività pubblicistica, e nel 1962 cominciò la collaborazione con Radio Europa Libera, dove curava due programmi settimanali: l’Attualità culturale romena e Tesi e Antitesi a Parigi.
Le autorità romene cominciarono a perseguitare sua madre. A 71 anni, Ecaterina Bălăcioiu-Lovinescu fu condannata al carcere, essendo priva dei medicinali necessari, come ricatto, per determinare sua figlia a rientrare in patria. La madre di Monica Lovinescu morì in detenzione, nel 1960, ma sua figlia continuò a essere perseguitata dai comunisti.
Nel 1977, in seguito ad un attentato della Securitate, la polizia politica del regime, Monica Lovinescu fu gravemente picchiata e ricoverata in ospedale. Ma ciò non fece crollare il suo anti-comunismo. D’altronde, lei non ebbe alcun periodo in cui aver simpatizzato con la dottrina comunista, a differenza di altri intellettuali che, dopo, delusi, avevano rimpianto il loro impegno.
In una registrazione della Fonoteca di Radio Romania, Monica Lovinescu descrive il momento in cui si era assunta il destino di intellettuale in esilio, e il motivo del suo impegno.
”Ho avuto anche altre passioni: la regia teatrale, la letteratura. Non si è trattato di una decisione precipitata, ma il motivo fu la mia impressione che da qui si poteva parlare liberamente. Parlando, si doveva riscattare il silenzio dei romeni rimasti in patria, che erano costretti a stare zitti. Avevo l’impressione che in un certo modo dovevo ripagare questa libertà che – credevo io – mi era stata data in modo condizionato, per fare qualcosa. Credo di aver sacrificato la scrittrice che era in me, ma senza grandi rimpianti. Avevo il sentimento che era necessario fare questo, nelle condizioni in cui molti intellettuali morirono in carcere, compresa mia madre, e gli scrittori dovevano scegliere sempre tra il carcere e il tradimento. In quelle condizioni, era più utile fare quello che ho fatto, che scrivere un romanzo in più”, ricordava Monica Lovinescu.
Prima di morire, ha donato la sua abitazione di Parigi allo stato romeno. L’archivio personale insieme a quello del marito Virgil Ierunca furono donati alla Fondazione Humanitas-Aqua Forte che amministra d’altronde anche l’appartamento di suo padre, Eugen Lovinescu.