Lo stendardo liturgico del Principe Stefano il Grande
Personalità politica dominante nella storia dei romeni nella seconda metà del 15/o secolo, il principe moldavo Stefano il Grande regnò dal 1457 al 1504.
Steliu Lambru, 15.04.2019, 15:04
Personalità politica dominante nella storia dei romeni nella seconda metà del 15/o secolo, il principe moldavo Stefano il Grande regnò dal 1457 al 1504. Fu il più lungo regno nella storia della Romania, dopo quello di Re Carlo I. Fu vassallo dell’Ungheria, della Polonia e dell’Impero Ottomano, bilanciando tra le tre potenze per mantenere la neutralità della Moldavia. Tentò di modernizzare l’esercito e costruì un sistema di fortezze per difendere la frontiera orientale dagli attacchi dei tartari.
Le più clamorose vittorie dal principe Stefano il Grande furono quella di Baia, contro il re dell’Ungheria, nel 1467, di Lipnic nel 1469 contro i tartari, di Vaslui nel 1475 contro i turchi, nonchè quella contro il re della Polonia, nel 1497, a Codrii Cosminului. Costruì 21 chiese e monasteri, per cui fu canonizzato dalla Chiesa Ortodossa Romena nel 1992. Stefano il Grande ebbe tre mogli e sette figli. Si spense a luglio 1504, all’età di 65 anni, e venne sepolto al Monastero di Putna.
Tra i pochi oggetti rimasti dal principe moldavo si annovera anche il suo stendardo liturgico. Stefano il Grande visse nei tempi delle tarde crociate e il simbolismo religioso ebbe una grande influenza nei suoi combattimenti. Lo stendardo è un ricamo bizantino, tessuto nella Moldavia quattrocentesca, a forma di quadrato i cui lati misurano un metro. Fu rinvenuto nel 1882 in seguito ai viaggi balcanici dello scrittore Teodor Burada, il quale ha tentato di convincere i monaci del Monastero di Zografou del Monte Athos di venderglielo. L’oggetto era stato donato al convento athonita dagli eredi del principe Stefano. Il fallimento dei negoziati rinviò il ritorno dello stendardo in possesso dello stato romeno. Ciò avvenne nel 1917, in pieno conflitto mondiale, con l’impegno diretto della Francia.
Il direttore del Museo Nazionale di Storia della Romania, Ernest Oberlander-Tarnoveanu, presenta l’oggetto custodito dal 1970 dall’istituzione che dirige. Questo ricamo ha una caratteristica di eccezione: raffigura San Giorgio sul trono, un’immagine non molto abituale nell’iconografia di questo importantissimo santo. San Giorgio tiene in mano una spada sguainata, mentre gli angeli gli mettono la corona del martirio. Gli stessi angeli gli consegnano una spada e uno scudo per difendere attivamente e passivamente la Cristianità. Forse la cosa più strana è che San Giorgio sta con i piedi sopra un drago a tre teste. Una raffigurazione rarissima, in quanto noi lo conosciamo dall’immagine in cui uccide il drago mentre sta a cavallo davanti a una fortezza, per difendere una principessa minacciata dal mostro. Quel drago ha solo una testa. Invece, le tre teste di quello rappresentato sullo stendardo liturgico ricordano gli allora maggiori nemici della fede: la massima, collocata a destra, era l’islam, mentre le altre due fanno riferimento a varie correnti eretiche che minacciavano, nella visione dell’uomo medioevale, la pace del mondo, spiega il direttore del Museo Nazionale di Storia della Romania.
Ernest Oberlander-Tarnoveanu aggiunge che il ricamo di Stefano non è solo un oggetto d’arte, ma anche fonte di ricerca per altre discipline, come la linguistica. Rappresenta non solo un capolavoro tecnico e, secondo me, è probabilmente uno dei più pregiati ricami bizantini tardi del mondo. Questa tecnica impeccabile ha reso possibile la sua manutenzione, nonostante le disgrazie subite dalle persone nelle cui mani era capitato. Sul ricamo è inciso anche un testo a carattere autobiografico, come una dichiarazione di Stefano il Grande. La parte iniziale è il Troparion de San Giorgio, una preghiera consueta e nota. Nella seconda parte, Stefano lo recita. Sappiamo che era un principe colto, conosceva lo slavo ecclesiastico, quindi, sicuramente, anche i testi liturgici. Questi fatti risalgono all’anno 7008, il 43/o del suo regno, quindi 1500 dopo Cristo. Un testo religioso noto, cui Stefano aggiunge il suo contributo, per cui, a mio avviso, si tratta di una delle più importanti fonti letterarie originali conservatesi dal Medio Evo romeno. Ha un carattere autobiografico, ma anche una confessione. Un documento profondamente umano: Stefano si preparava ad entrare in un altro secolo e in un altro mondo, conclude il direttore del Museo Nazionale di Storia della Romania, Ernest Oberlander-Tarnoveanu.