Giardinieri e paesaggisti stranieri nei Principati romeni
Nell'Ottocento, quando la civiltà romena si riorientava dall'Oriente verso l'Occidente, molti settori necessari alla modernizzazione e apparsi come suo effetto erano poco o per niente sviluppati.
Christine Leșcu, 24.05.2019, 11:06
Nell’Ottocento, quando la civiltà romena si riorientava dall’Oriente verso l’Occidente, molti settori necessari alla modernizzazione e apparsi come suo effetto erano poco o per niente sviluppati. Per cui, i principi e i nobili dei principati della Valacchia e della Moldavia portarono degli specialisti dall’estero. Oltre ad architetti, medici, insegnanti o ingegneri, arrivarono anche dei paesaggisti. Il Parco Cismigiu, che si trova al centro di Bucarest, fu allestito da uno di questi paesaggisti e inaugurato nel 1854. L’allora principe della Valacchia, Gheorghe Bibescu, fece venire dalla Corte imperiale di Vienna il giardiniere paesaggista Karl Friedrich Wilhelm Meyer che, però, non fu l’unico straniero che lavorò alla progettazione del Parco Cismigiu, soprattutto perchè si è spento nel 1852, a soli 32 anni, spiega il paesaggista Alexandru Mexi.
A differenza del Giardino Kiseleff, questo parco attraversò diverse tappe di trasformazione, più o meno radicali. Le più importanti sono opera di Wilhelm Knechtel negli anni 1880, mentre le più note, che hanno conferito l’aspetto che vediamo oggi, vennero compiute negli anni 1920 da Friedrich Rebhun. Nella Valacchia, Wilhelm Knechtel lavorò anche ad altri progetti, tra cui i giardini del Castello Peles, dove allestì i percorsi selciati nel bosco. Nell’Ottocento e nei primi del Novecento, vi lavorarono anche paesaggisti di origine francese: i più noti sono Edouard Redont ed Emile Pinard, che allestirono insieme parecchi parchi pubblici, di cui il più conosciuto è il Parco Romanescu di Craiova. Sempre loro lavorarono anche all’attuale parco Constantin Poroineanu di Caracal e progettarono dei giardini privati nell’area di Arges – Muscel. Pinard lavorò anche sulla Valle del Prahova, a Floresti, Breaza e Busteni, spiega Alexandru Mexi.
Se nell’Ottocento, ovunque nel mondo, i giardini pubblici e privati venivano allestiti prevalentemente in stile inglese, nel Novecento fu preferito quello francese. In terra romena, però, i paesaggisti stranieri hanno tenuto presenti anche le specificità locali. Wilhelm Meyer, Wilhelm Knechtel, Friedrich Rebhun ed altri, che venivano dallo spazio culturale di lingua tedesca, tentarono di adattare le specificità locali nei giardini della Valacchia e della Moldavia. Invece, le opere dei paesaggisti francesi erano più vicine a quanto si progettava in Francia. Redont ha anche pubblicato un libro sul Parco Bibescu – l’attuale Parco Romanescu di Craiova – poco dopo la sua inaugurazione. Tutte le bozze e i disegni del libro rassomigliano benissimo a quelli inclusi in una delle pubblicazioni francesi specializzate molto conosciuta in Europa, aggiunge Alexandru Mexi.
Nella seconda metà dell’Ottocento, quando il mercato europeo era stracarico di architetti e giardinieri paesaggisti, coloro che si stabilirono nei Principati Romeni ebbero l’occasione non solo di fare il proprio mestiere, ma anche di guadagnare abbastanza e trovarsi bene in seno a una società che li ha accolti con calore. Un esempio è Friedrich Rebhun, che si integrò benissimo a Bucarest, anche se, all’inizio, aveva ritenuto la capitale romena solo una fermata nel suo viaggio verso il Giappone, aggiunge Alexandru Mexi.
Nel Novecento, Friedrich Rebhun, giunto a Bucarest verso il 1910, pubblicò anche tanti materiali. Nei primi anni ’30, venne abbozzato un primo piano dell’attuale Parco Herastrau, che doveva chiamarsi il Parco Nazionale. Friedrich Rebhun sosteneva che un parco nazionale doveva avere anche vegetazione locale, comunque più ricca delle specie esotiche importate. Molte delle piante acclimatate non resistettereo nel tempo, altre, invece, sì. Ad esempio, nel Parco di Cismigiu si conservano platani antichissimi, ma anche acacie giapponesi. Alcune specie si trovano anche al Castello Peles. A quei tempi, gli alberi venivano portati soprattutto dall’Austria e dall’Italia, come testimoniano le fatture e le ricevute conservate ancora negli Archivi Nazionali di Romania, conclude Alexandru Mexi.